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I dati a supporto del risk management sanitario

Negli ultimi anni nelle strutture sanitarie è aumentato l’orientamento verso l’uso delle tecnologie e la gestione del rischio. Questo sta favorendo le compagnie di Rc sanitaria nell’analisi e comprensione dei rischi così da garantire portafogli sempre più sostenibili

I dati a supporto del risk management sanitario hp_vert_img
Sul grande tema della potenzialità dei dati raccolti grazie allo sviluppo del digitale, la domanda già da tempo non è più dove trovare le informazioni, quanto come utilizzarle affinché garantiscano insights corretti, coerenti e realmente utili. La questione, che riguarda oggi quasi tutti gli ambiti dell’attività umana, assume un valore nuovo e potenzialmente di svolta nella gestione del rischio sanitario. La visione della centralità del risk management che pervadeva già la logica della legge Gelli nel 2017, sembra aver trovato un’accelerazione negli ultimi due anni, nei quali la pandemia ha messo sotto tensione le strutture mediche mentre, in parallelo, è aumentato il livello di digitalizzazione interna, con una crescente interconnessione degli strumenti informatici e dispositivi medici di cui sono dotati i reparti.
La pandemia è stata un grande propulsore per il risk management sanitario: nel settore la gestione della crisi ha aumentato la consapevolezza della necessità di adottare soluzioni tecnologiche e digitali, un passaggio che in un corso normale degli eventi avrebbe forse richiesto qualche anno in più. Inoltre, il particolare contesto dell’ultimo biennio ha contribuito a far valutare alle strutture sanitarie la possibilità di una gestione proattiva del rischio, perché le ha introdotte nella logica di gestire un evento mai accaduto.

Puntare a ridurre gli errori per prevenire i danni
Da un diverso approccio all’uso delle informazioni e verso il risk management trae beneficio anche l’attività degli assicuratori. Le compagnie hanno il massimo interesse a conoscere la sinistrosità pregressa delle strutture sanitarie clienti, ad aumentare i dettagli sulle tipologie di danno e a profilare in maniera quanto più approfondita l’organizzazione nel suo complesso.
Saper analizzare le informazioni per restituire un’immagine quanto più realistica e profonda della situazione reale non è utile solo a fornire coperture adeguate ma anche ad affiancare gli assicurati nella strutturazione del risk management interno. Giuseppe Carchedi, group operations and analytics manager di Sham – gruppo Relyens, approfondisce questo punto di vista, centrale nell’approccio della mutua assicurativa: “l’assicuratore codifica abitualmente i dati relativi al danno reclamato, ma oggi è necessario comprendere meglio non solo la sinistrosità che si manifesta ma anche la possibilità di ridurre gli errori in generale per migliorare la sicurezza della struttura sanitaria. Al fine di avere una visione più completa del rischio latente, dell’evento e di quella che è la responsabilità effettiva, vanno approfondite tutte le informazioni: non è più sufficiente limitarsi ad analizzare i dati del danno reclamato, ma andare a individuare gli errori che si possono verificare indipendentemente dal fatto che si trasformino in sinistro. Evento, errore e sinistro sono tre elementi da analizzare separatamente per conoscere meglio l’attività, permettere una gestione del rischio e infine poter contenere le richieste di risarcimento”.
Obiettivo ultimo dell’assicuratore dovrebbe essere di aiutare le strutture, attraverso la raccolta e l’analisi dei dati, nella valutazione del rischio complessivo; la riduzione degli errori “è un valore di per sé e non va necessariamente portata avanti solo nell’ottica di riduzione della sinistrosità. Allo stesso modo, è da evidenziare che non sempre il sinistro è determinato da un errore, ma può essere conseguenza, ad esempio, di specifiche aspettative del paziente rispetto al percorso di cura”. Storicamente circa un terzo delle richieste di risarcimento non ha seguito poiché non vi è responsabilità medica.

Affiancare le strutture per rendere il rischio più appetibile
La disponibilità di big data e di modelli avanzati di data analytics non risolve da sola la questione. “Nel settore il processo è ancora in fase embrionale. Nella Rc sanitaria è necessario procedere un passo alla volta, mettendo a punto un sistema che preveda l’uso dei dati in possesso degli assicurati, reportistica automatizzata, metodologie definite, kpi precisi e un team dedicato all’analisi delle informazioni”. In sintesi, si guarda a un superamento della logica di mero efficientamento degli aspetti operativi della struttura, per ragionare invece sulle informazioni utili a gestire meglio il rischio nel suo complesso. Il settore assicurativo può fare molto in questo senso, laddove le modalità di sottoscrizione incentivano, o meglio ancora supportano l’implementazione di processi di gestione del rischio.
Le informazioni e il rapporto diretto con la struttura sanitaria per la gestione del suo rischio sono fondamentali per la compagnia quando si parla di gestione efficiente del portafoglio. “Soprattutto in ambito di Rc sanitaria, è necessario avere la possibilità di guidare le performance del portafoglio in un’ottica di sostenibilità e continuità nel tempo. L’esperienza europea di Sham, in quanto mutua, è proprio quella di affiancare i soci analizzando le criticità e gli aspetti positivi della loro attività per implementare azioni correttive a tutti i livelli”, sintetizza Carchedi.
Il fine ultimo dell’analisi dei dati deve essere, quindi, quello di avere le migliori informazioni utili a prendere delle decisioni. “Per le compagnie assicurative – continua Carchedi – significa dotarsi di competenze e strumenti adeguati, ma soprattutto di un approccio differente, creando una struttura robusta che abbia come obiettivo quello di dare informazioni semplici, veloci e corrette. I dati possono avere un impatto positivo sui processi decisionali quando il patrimonio informativo dell’azienda è coerente e supera la visione per compartimenti che è tipica delle gestioni a silos”. Il passaggio da un’ottica settoriale a una globale è però tutt’altro che scontato.

Va affrontato il gap delle competenze
C’è poi un secondo ostacolo, di natura culturale, che riguarda le tecnologie: negli ultimi anni le potenzialità del digitale sono cresciute più in fretta delle competenze necessarie a un suo utilizzo diffuso e che permetta di ottenere livelli di analisi avanzati. Oggi, rispetto a qualche anno fa, la raccolta dei dati è più facile e diventa tangibile l’esigenza di saperli sfruttare per raccogliere conoscenza sul passato, presente e futuro dell’organizzazione. Questa consapevolezza rende necessario il ricorso a persone con competenze utili a sviluppare l’analisi: “le tecnologie, così come le competenze a livello aziendale, devono essere alimentate con l’inserimento di nuove figure professionali, che però hanno un’utilità concreta se possono operare in un contesto data-oriented. L’ambiente organizzativo deve essere preparato per cogliere il massimo dalle competenze in entrata: ecco quindi che si torna a parlare di fare data literacy, di sviluppare una cultura aziendale orientata al dato e di spiegare ai team il valore delle informazioni”, conclude Carchedi.

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