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Kasko: gli incerti confini dei danni indennizzabili

L’esclusione convenzionale in polizza dei danni indiretti può lasciare spazio a interpretazioni di segno opposto, legate anche all’ampiezza del concetto di causalità. Qualora la garanzia fosse posta in termini vaghi, in caso di contenzioso, il giudice è tenuto a ricostruire il senso della clausola

Kasko: gli incerti confini dei danni indennizzabili hp_vert_img
Nell’ambito delle coperture Kasko, una ricorrente definizione assicurativa presente nei capitolati di polizza individua i danni indennizzabili come “danni materiali e diretti subiti dal veicolo assicurato in conseguenza di urto con altro veicolo”. Con una certa frequenza sono quindi sorti dubbi interpretativi sulla possibilità di includere in copertura, oltre ai pregiudizi conseguenti al primo impatto, anche quelli non immediatamente collegati all’evento, i cosiddetti danni di rimbalzo (si pensi al veicolo che a seguito dell’urto con il mezzo antagonista finisca la propria corsa contro un albero). Come noto, le parti sono libere di determinare l’oggetto del contratto in funzione della misura del rischio che si vuole trasferire all’assicuratore, di norma delimitato attraverso patti di vario genere a seconda delle volontà delle parti e del premio pagato. Possono dunque prevedersi delle limitazioni quantitative, causali, temporali, soggettive e oggettive del rischio dedotto in garanzia. Quelle causali circoscrivono il danno indennizzabile a una parte soltanto delle conseguenze che possono scaturirne, come per esempio ai “danni materiali e diretti” provocati dall’urto con un veicolo antagonista (o con animali selvatici, a seconda della estensione della copertura di cui si discute). Il significato da attribuire al sintagma “danni materiali diretti” e, correlativamente, al danno (materiale) indiretto, è quindi questione interpretativa.

Il criterio di causalità “adeguata”, in relazione all’oggetto della copertura
Naturalmente, il presupposto dell’indennizzabilità di un danno resta comunque correlato alle conseguenze causalmente riferibili a uno specifico rischio assicurato, in relazione al quale possono derivare danni diretti o indiretti. Così, ad esempio, non sarebbe oggetto di copertura il danno causato dalla caduta di un fulmine sul veicolo, ricoverato in officina a seguito del sinistro. Qui il rapporto di causalità si allenterebbe infatti sino a degradare in una relazione di mera occasionalità: per dirla in altri termini, il danno non sarebbe conseguenza del sinistro, ma troverebbe nel sinistro la semplice occasione che ha dato luogo a una diversa relazione causale. È quindi necessario indagare quale sia il rapporto di causalità adeguata idoneo a configurare – ai sensi di polizza – il danno indennizzabile in quanto conseguenza (materiale) diretta dell’evento. I criteri della causalità civilistica in caso di illecito (criteri da utilizzare per accertare il nesso che, unitamente alla condotta, fonda l’addebito di responsabilità) non sono d’altronde rilevanti in materia di polizze danni a cose, in relazione alle quali il deterioramento del bene assicurato potrebbe, addirittura, essere indennizzato a prescindere dalla causa che lo ha generato. 
In questo senso ha qui una sua pregnanza (endocontrattuale) proprio il concetto di danno indiretto, che perderebbe invece di significato nel campo della responsabilità civile (in cui il danno deve sempre essere conseguenza immediata e diretta dell’illecito/inadempimento, ex art. 1223 c.c).

Una sottile linea di confine che va definita a priori
Ecco dunque che il quesito deve risolversi proprio – e solo – sul piano dell’interpretazione del contratto, andando alla ricerca del perimetro di operatività della polizza in relazione ai danni indennizzabili. Vi sono coperture che, nell’escludere tout court la garanzia dei danni indiretti, riportano a tal fine una casistica esplicativa (si pensi ai danni da interruzione di attività, ai costi di traino e in generale a quei danni non direttamente subiti dal veicolo in conseguenza del verificarsi dell’evento). Altre polizze non si esprimono invece in termini di franca esclusione causale di determinate tipologie di danno, ma danno speciale sottolineatura al limite assicurativo, precisando in positivo che sono oggetto di copertura soltanto i danni materiali e diretti, senza tuttavia delimitarne l’estensione o definirli in modo puntuale. In linea di principio dovremmo ritenere che i danni materiali siano quelli subiti dalle cose assicurate nella loro fisicità al verificarsi degli eventi coperti dalla garanzia. Quanto alla distinzione dei danni diretti/indiretti, il più delle volte non è agevole tracciare una linea di confine netta, specie in mancanza di una chiara esemplificazione. Esemplificazione, peraltro, che sarebbe di grande utilità per l’assicuratore che volesse davvero restringere oltremodo la portata della causalità contrattualmente tutelata. Nel silenzio della polizza, per “danni materiali e diretti” dovrebbero intendersi tutti quelli che derivano dalla collisione, rappresentando quest’ultima un antecedente causale efficiente, adeguato e comunque di per sé solo sufficiente a generarli. 

Nel caso, ad esempio, di un veicolo che a seguito di una collisione venga sospinto contro un albero, non vi è dubbio che l’unico elemento causale del danno sia la collisione. I danni derivanti dall’urto con l’albero sarebbero quindi da escludere dal novero dei danni indiretti (sotto il profilo assicurativo). Diversamente potrebbe opinarsi nel caso in cui il veicolo, dopo l’impatto, termini la sua corsa in mezzo alla carreggiata e lì venga urtato da un terzo mezzo, nel mentre sopraggiunto. In questa ipotesi, non dovendosi applicare il meccanismo civilistico di cui all’art. 2055 c.c., si potrebbe davvero operare una distinzione tra le conseguenze del primo urto, certamente dirette, e quelle del secondo, potenzialmente indirette. Indiscutibilmente indirette appaiono le conseguenze dannose evidentemente eccentriche al contesto dinamico dell’evento, seppure ad esso correlate (si pensi al danno conseguente alla caduta del veicolo dal carroattrezzi).

Sulle clausole vaghe il giudice deve indagare
Insomma, in assenza di specificazioni, per sostenere la tesi della “non” copertura delle conseguenze dannose derivanti da sbandamenti e urti successivi all’iniziale collisione, occorrerebbe propendere per una interpretazione davvero stringente del concetto di danno diretto. Troppo stringente per esser demandata a delle clausole – come spesso accade – dal tenore piuttosto aperto (“copertura dei soli danni materiali e diretti, con esclusione dei danni indiretti”, senza ulteriori specificazioni). Queste conclusioni sembrano coerenti con i canoni ermeneutici fissati dal legislatore per l’interpretazione dei contratti e in particolare con l’art. 1362 c.c. – in relazione alla comune intenzione delle parti – e con l’art. 1370 c.c. in relazione alla lettura da darsi alle clausole ambigue inserite nelle condizioni generali di contratto. La Cassazione, d’altronde, ha da ultimo confermato con ordinanza 25849/21, pubblicata il 23 settembre u.s., il noto principio già fissato dalla nota sentenza n. 668 del 18/01/2016, secondo cui “il contratto di assicurazione deve essere redatto in modo chiaro e comprensibile. Ne consegue che, al cospetto di clausole polisenso, è inibito al giudice attribuire ad esse un significato pur teoricamente non incompatibile con la loro lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri di ermeneutica previsti dall’art. 1362 c.c. e ss., e in particolare quello dell’interpretazione contro il predisponente, di cui all’art. 1370 c.c.”. In tal senso depone anche la raccomandazione di Eiopa dell’1 aprile 2020 che, seppur resa per sollecitare le imprese ad assumere le più opportune azioni volte a mitigare l’impatto della pandemia da coronavirus sui consumatori, ha ribadito il più generale obbligo di fornire agli assicurati “(…) informazioni chiare e tempestive sui diritti contrattuali per garantire che i consumatori comprendano la portata della loro copertura e le esenzioni applicabili”.

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