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Il rapporto tra nomofilachia e tabelle per la liquidazione

In tema di danno non patrimoniale la Cassazione ricorre al principio nomofilattico per favorire il sistema romano a punti, a suo avviso più prevedibile, rispetto a quello milanese

Il rapporto tra nomofilachia e tabelle per la liquidazione hp_vert_img
Sino a quindici anni fa, parlare di nomofilachia e di precedenti, significava fare riferimento a concetti antichi, a una terminologia matematica utilizzata dall’articolo 65 della legge sull’ordinamento giudiziario che mal si conciliava con l’importanza e la vitalità del diritto (soprattutto di quello giurisprudenziale).

Le leggi che hanno attuato la nomofilachia
Poi, a partire dal 2006, le cose sono cambiate e l’istituto della nomofilachia è entrato nel linguaggio del legislatore perché quest’ultimo, con alcune norme, ha voluto rafforzare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione. Ecco alcuni esempi. L’art. 360 bis del Codice di procedura civile (Cpc) afferma l’inammissibilità del ricorso per Cassazione quando il provvedimento impugnato ha deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Cassazione. E ancora l’art. 348 bis Cpc afferma che il precedente è strumento di semplificazione della motivazione.

Le disposizioni più importanti, però, riguardano il rapporto tra le Sezioni Semplici e le Sezioni Unite nell’ambito del processo civile, penale, amministrativo e contabile.
L’art. 374 comma 3 Cpc, ad esempio, afferma che se la Sezione Semplice della Corte di Cassazione non condivide il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite deve manifestare il suo dissenso e rimettere a queste ultime la decisione.
La ratio che ha portato il legislatore a introdurre questa norma è condivisibile perché, come ha affermato autorevole dottrina (Canzio, Taruffo), si vuole evitare la frammentazione delle decisioni e, quindi, l’imprevedibilità e l’incalcolabilità del diritto per utilizzare un’espressione di un bel libro di Natalino Irti.
Tradotto in altri termini, il legislatore ha voluto evitare abusi da parte del potere giudiziario.

La Cassazione non ha applicato l’art. 374, comma 3 Cpc 
Orbene, se applichiamo l’istituto della nomofilachia alla valutazione e liquidazione del danno non patrimoniale, non possiamo che giungere a questa conclusione: la Sezione Semplice della Corte di Cassazione nelle sentenze e nelle ordinanze nelle quali ha affermato l’autonomia ontologica del danno morale e la necessità di separare la liquidazione di quest’ultimo dal danno biologico (tra le diverse Cass. n. 7513/2018, n. 9017/2018, n. 4099/2020) avrebbe dovuto chiedere alle Sezioni Unite di pronunciarsi nuovamente sul danno non patrimoniale (come aveva fatto nel 2008) anziché ricorrere a contorcimenti linguistici e sottrarsi così al vincolo previsto dall’art. 374, comma 3 Cpc.
L’istituto della nomofilachia, dunque, è un antidoto alla frammentazione delle interpretazioni giurisprudenziali allo scopo di rendere il diritto meno liquido e tendenzialmente prevedibile.

Il diritto non è un’operazione matematica
Ma non si può neppure pretendere che il diritto sia calcolabile come una macchina (Weber) o sia equiparabile a un’operazione geometrica come affermava Leibniz. Altrimenti, potremmo sostituire i robot agli esseri umani per avere una giustizia più certa. È quello che mi è venuto in mente leggendo una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10579/2021) in materia di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale. 

Ebbene, in questa pronuncia (peraltro scritta molto bene), la Cassazione ha censurato una sentenza della Corte di appello di Catania che aveva applicato le tabelle del tribunale di Milano. La Cassazione, richiamando, tra l’altro, l’importanza della nomofilachia nel nostro ordinamento, ha affermato che garantisce uniformità e prevedibilità delle decisioni una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sui precedenti e sul sistema a punti, con la possibilità naturalmente di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della fattispecie.
E la tabella milanese non risponderebbe a questi criteri.
Ebbene, applicare un sistema a punti (troppi come fa la tabella romana) per la liquidazione del danno parentale, renderà sicuramente più certa la decisione ma svilisce la funzione del giudice e degli avvocati e non rispetta secondo me l’istituto di una moderna nomofilachia che, invece, è profondamente radicata nelle tabelle del tribunale di Milano, le quali si sono sempre mosse sulla base di numerosi precedenti e sul confronto continuo tra magistrati, avvocati e dottrina.

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