Insurance Trade

Fpa, la crisi non è causata dalla legge

A fronte di segnali di disavanzo già individuati nel tempo, l'intervento del legislatore, guidato dalla necessità che i fondi pensione continuino ad assolvere alla loro delega, ha avuto l'obiettivo fondamentale di tutelare la comunità degli iscritti

Watermark 16 9
Da un po' di tempo, partecipando a convegni ma anche ai tavoli istituzionali sull'argomento (composto da un lato dalle cosiddette parti sociali e dall'altro dai rappresentanti dell'Fpa), ascolto la ripetizione di quella che viene definita la causa principale che ha provocato il dissesto tecnico-finanziario prospettico del Fondo pensione agenti. Mi riferisco al famigerato decreto ministeriale (Mef) n. 259 del 7 dicembre 2012 (entrato in vigore il 20 febbraio 2013) che all'art. 4 sancisce un nuovo metodo per calcolare le riserve tecniche, vale a dire su base individuale, tenendo conto degli iscritti al fondo alla data di valutazione". Si tratta della cosiddetta valutazione a gruppo chiuso, che non consente più di valutare il computo delle future generazioni (contributi futuri e prestazioni future) nella redazione dei bilanci tecnici, a cui si aggiunge un ulteriore margine in misura del 4% delle riserve a titolo di attività supplementari (art. 5, dm n.259/2012). In virtù dei nuovi principi attuariali l'Fpa ha presentato, sulla base della valutazione dei dati al 31 dicembre 2012, uno squilibrio tecnico delle due gestioni (ordinaria e integrativa), comprensivo del margine supplementare, di 786 milioni di euro (squilibrio che ora sulla base dei dati al 31 dicembre 2013 si sarebbe ridotto a 706 milioni di euro). Di qui un coro quasi unanime nello schierarsi contro il legislatore che (lesa maestà!) ha emanato un regolamento per garantire "riserve tecniche adeguate agli impegni finanziari assunti nei confronti degli iscritti attivi, dei pensionati e dei beneficiari disponendo in qualsiasi momento di attività sufficienti a copertura" (art. 4, dm n.259/2012).

Un problema già messo in evidenza

Partiamo dai dati del settore per arrivare poi a comprendere le ragioni del legislatore che, anticipiamo fin da ora, sono rivolte a tutelare la collettività dalla pericolosità di gestioni che rischiano di mettere in serio pericolo la pensione, attuale e futura attesa, di chi ha versato parte dei propri risparmi nei fondi di previdenza complementare. Alla fine del 2012 erano 361 i fondi preesistenti in attività (dati Covip), cioè quei fondi (in cui ricade anche il Fondo pensione agenti), antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 421 del 23 ottobre 1992, per i quali il d. lgs. n. 252 del 5 dicembre 2005 (che reca la disciplina delle forme pensionistiche complementari) ammette particolari deroghe (come quella, ad esempio, di provvedere direttamente alla gestione delle risorse finanziarie e all'erogazione delle prestazioni pensionistiche). Dei 361 fondi preesistenti, 233 sono dotati di soggettività giuridica (cosiddetti autonomi) e di questi 187 sono a contribuzione definita, 26 sono misti e 20 sono a prestazione definita (tra i quali, quindi, anche l'Fpa). Ai 20 fondi autonomi a prestazione definita vanno poi aggiunti i 107 fondi cosiddetti interni, cioè quale posta di bilancio dell'impresa in cui sono occupati i destinatari dei fondi stessi, sempre a prestazione definita. Ebbene, di questa ampia platea, sebbene in via di esaurimento perché ogni anno si riduce progressivamente il numero dei fondi a prestazione definita, solo il Fondo pensione agenti è balzato pubblicamente agli onori della cronaca per il disavanzo che lo ha colpito. Eppure la Covip l'aveva già anticipato se nella relazione annuale del 2012 (vedasi pag. 154) così statuiva: "I controlli sulle forme pensionistiche preesistenti hanno, inoltre, continuato a interessare i fondi caratterizzati da problematiche di natura tecnico-attuariale, in quanto esposti, in particolare, al rischio di longevità. Particolare attenzione è stata posta su un ristretto numero di fondi caratterizzati da situazioni di squilibrio tecnico-attuariale, non assistiti da una garanzia del soggetto istitutore del piano previdenziale o in presenza di una specifica limitazione della stessa, e sui relativi piani di riequilibrio. In un caso (Fondo pensione per gli agenti professionisti di assicurazione), in un'ottica di contenimento degli impegni derivanti dalle prestazioni, è stata sottoposta all'approvazione da parte degli iscritti una ridefinizione delle modalità di calcolo delle prestazioni".

Un intervento per evitare squilibri tecnici

Arrivati a questo punto è lecito chiedersi: Perché è intervenuto il legislatore? Non certo per mettere in difficolta la generalità dei fondi pensione a prestazione definita e, più specificamente, il Fondo pensione agenti. Al riguardo è necessario precisare che i fondi pensione assolvono una funzione etico-sociale che è demandata loro dallo Stato. Infatti l'art. 38 della Costituzione italiana attribuisce allo Stato il compito (rectius: dovere) di prevedere e assicurare ai lavoratori "mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione volontaria". Nel corso degli anni, anche a causa di un eccessivo peso del welfare state, oltre che per i noti problemi di equilibrio e di sostenibilità della previdenza pubblica, lo Stato ha demandato parte della sua funzione costituzionale a enti pensionistici di diritto privato che, in sostanza, in virtù di tale delega assolvono a una parte della sua funzione costituzionale (etico-sociale). Ecco allora che si comprende la ratio dell'intervento del legislatore che, guidato dalla necessità che i fondi pensione continuino ad assolvere alla loro delega, è intervenuto per evitare che istituti con equilibri tecnici tenuti in piedi contabilmente grazie al calcolo e all'attualizzazione dei valori afferenti ai futuri iscritti (quella che tecnicamente viene definita valutazione a gruppo aperto) continuassero a erogare pensioni con il rischio di andare in default improvvisamente se, ad esempio, si verificasse una repentina e imprevedibile caduta dei mercati finanziari. Ne consegue, alla luce di queste ovvie considerazioni, che se il Fondo pensione agenti è andato in crisi non è per colpa di una legge che non fa altro che tutelare la comunità degli iscritti al fondo, ma è per una scarsa lungimiranza in passato della politica gestionale, sia quando, per un eccessivo ottimismo sulla valutazione dei rendimenti della gestione finanziaria, si è preferito puntare sull'aumento spropositato delle prestazioni (almeno in quattro annualità, 1980, 1982, 1986 e 1991) piuttosto che concentrarsi sull'incremento delle riserve, sia quando, più recentemente, non si è stati capaci nel saper cogliere i segnali che via via le leggi in corso di emanazione lanciavano in merito alla nuova applicazione dei principi attuariali per la determinazione dei mezzi patrimoniali.

Crisi prospettica, effetti immediati

Dalla relazione della commissione 7bis al consiglio di amministrazione dell'Fpa del 12 dicembre 2013 apprendiamo che nel bilancio tecnico al 31/12/2003 il contributo delle generazioni dei futuri ingressi era pari a circa 325 milioni di euro (differenza tra contributi futuri ingressi e oneri futuri ingressi), senza i quali il bilancio avrebbe chiuso con un deficit di pari entità. A distanza di 10 anni, il bilancio tecnico al 31/12/2012 mostra ancora come rilevante il contributo dei futuri ingressi. Infatti senza l'apporto delle future generazioni, il bilancio tecnico si sarebbe chiuso con un disavanzo di circa 292 milioni di euro. Sono i numeri, che non si prestano ad interpretazioni, a sancire impietosamente la crisi, seppur prospettica ma con effetti nell'immediato, del Fondo pensione agenti e non l'intervento del legislatore che ha fatto, piuttosto, emergere una situazione verso la quale ora diventa improcrastinabile e ineluttabile correre ai ripari per salvare, si badi bene, il fondo inteso non come apparato, ma come comunità di iscritti, attivi e pensionati, nell'interesse e a tutela della reputazione dell'intero settore assicurativo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti