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Aiba, quale ruolo sociale per l’assicurazione

Nel corso del convegno annuale organizzato dall’associazione dei broker, sono stati analizzati alla radice i motivi della sottoassicurazione italiana: per colmare il gap di protezione e interpretare il proprio ruolo delle origini, il sistema deve riuscire a dialogare con tutti gli stakeholder e costruire, finalmente, una partnership pubblico-privato sui grandi rischi

Aiba, quale ruolo sociale per l’assicurazione
Il Covid-19 ha reso ancora più evidente l’importanza che il sistema assicurativo ha e può avere nella vita economica del Paese, e non solo. Di fronte alle sfide che la pandemia, ma anche i cambiamenti climatici e gli scenari economici, hanno dettato all’intero settore assicurativo, vale la pena interrogarsi sulle risposte che il mercato assicurativo può offrire. Aiba, nel suo convegno nazionale (che, ormai è scontato dirlo, si è svolto online) ha voluto farlo attraverso un’interessante riflessione che ha provato a indagare nel profondo, fino a risalire alle radici del ruolo sociale delle assicurazione.
Alla discussione ha partecipato un panel di assoluto livello. Oltre al presidente dell’associazione dei broker, Luca Franzi De Luca, sono intervenuti Maria Bianca Farina, presidente di Ania, Fausto Parente, direttore esecutivo di Eiopa, il professore Karel Van Hulle (il padre di Solvency II), consigliere del Piob (Public interest oversight board),  Marco Rossetti, giudice della Corte di Cassazione, Umberto Guidoni, responsabile della direzione business di Ania, e Francesca Brunori, direttore dell’area credito e finanza di Confindustria.

Una questione di fiducia

Nelle battute iniziali Luca Franzi De Luca ha voluto sottolineare il significato del ruolo sociale dell’assicuratore, vale a dire la funzione di chi è chiamato a garantire la sostenibilità del sistema. Un ruolo in cui certamente il compito delle compagnie è decisivo. “Solidità – ha detto, intervenendo, Maria Bianca Farina – significa far fronte a shock di grande impatto e non previsti come la pandemia. Quello che è accaduto in questi mesi è la dimostrazione della solidità del sistema, che ha mantenuto anche di fronte a questo grande shock di proporzioni molto elevate, la stabilità economica e finanziaria. Ma la solidità non basta, serve anche l’innovazione per seguire i cambiamenti in tema di nuovi bisogni da coprire”. Secondo la presidente di Ania, la tecnologia dà un grande vantaggio se messa a disposizione dei prodotti e di servizi, “ma l’innovazione riguarda tutta la catena di valore del mondo assicurativo, ad esempio anche i processi”. Le compagnie stanno lavorando in maniera molto attenta su questi due fronti, solidità economica e tecnologie, e su entrambi “stanno dimostrando la grande capacità di adeguarsi e di saper far fronte a un momento così delicato della vita del nostro Paese”. Secondo Farina, finora tra i cittadini c’è stata la convinzione che lo Stato dovesse coprire tutto, dal welfare ai grandi rischi. Il coronavirus ha fatto emergere invece un elevato livello di fragilità. “Oggi – ha detto – dobbiamo fare i conti col fatto che il nostro Stato è molto indebitato e che difficilmente potrà intervenire con risorse proprie. Quindi, tra le riforme necessarie e non più differibili c’è quella di attivare un sistema di partnership pubblico-privato che metterebbe in atto quel volano di investimenti necessario alla crescita. Solo in una visione di sistema, sotto la regia dello Stato, si raggiungerà la messa in comune e quell’efficientamento delle risorse private di cui il sistema ha bisogno”.
L’assicurazione ha un ruolo fondamentale nella società. “Ma è l’esperienza concreta – ha sottolineato nel suo intervento Fausto Parente – quella che conta. Quando acquista un prodotto, il cittadino deve sentire di essere trattato in modo equo, di avere pagato un giusto prezzo. Spetta a noi della vigilanza assicurare che la risposta alle varie esigenze di copertura sia sempre positiva, perché è questo ciò che garantisce il ruolo sociale dell’assicuratore”. Secondo Parente, la Pog “può servire a rinnovare la fiducia nelle assicurazioni e nel suo ruolo sociale”, in quanto “le persone possono essere protette solo se hanno fiducia nel settore, e questo accade quando le persone percepiscono di essere trattate in modo equo dalle compagnie e dagli intermediari”.
Tuttavia, pur apprezzando lo sforzo fatto da Eiopa per la protezione del consumatore, il presidente di Aiba ha osservato che “ci troviamo in un meccanismo un po’ pernicioso che fa sì che questa tutela si traduca in un eccesso di burocrazia per gli intermediari. Sono convinto che il lavoro fatto sia importante, ma c’è il rischio che anziché avvicinare assicurati e assicuratori possa sortire l’effetto opposto”.

Le risposte insoddisfacenti di fronte al rischio pandemico

L’intervento successivo è stato quello del professor Karel Van Hulle, che in passato è stato a capo della unit che si è  occupata di assicurazioni e pensioni nella Commissione Europea sin dal 2004, ed è considerato il padre di Solvency II. Van Hulle, senza giri di parole, ha bacchettato le compagnie. “La sostenibilità – ha detto – è un tema che sta diventando ricorrente nell’economia, e passa anche dalla fiducia dei consumatori, dalla capacità di riuscire a metterli a primo posto. In questo senso gli assicuratori devono essere essi stessi i primi ad avere il coraggio di assumersi rischi. Eppure – ha rilevato Van Hulle – le pandemie sono sempre state escluse dai contratti. Gli assicuratori scappano, fuggono dal rischio andando a negare la copertura”. E ancora: “in occasione di questa pandemia il settore assicurativo ha mostrato ben poca empatia nei confronti di quei consumatori che hanno affrontato grandi perdite”. Secondo Van Hulle, invece di essere innovativi per gestire al meglio il trasferimento del rischio, “gli assicuratori preferiscono restare nella comfort zone, in alcuni casi vendendo prodotti che alle persone non servono, in altri collocando nei contratti clausole di esclusione in ambiti che potrebbero diventare sistemici, come ad esempio quello della cyber security. Se gli assicuratori vogliono essere parte della soluzione e non del problema, devono modificare la loro mentalità, e tornare alle origini". Van Hulle ha comunque riconosciuto che gli assicuratori non possono farsi carico da soli di questa situazione, e il punto di incontro è un terreno già auspicato da Maria Bianca Farina, vale a dire “ambire a un sistema che possa essere in grado di assumersi questi rischi all’interno di uno schema pubblico-privato che si faccia carico di perdite così significative”.

Risciacquare in Arno la tecnica scrittoria dei contratti

Poco tenero con gli assicuratori è stato anche Marco Rossetti, giudice della Cassazione, il cui intervento ha ripercorso i motivi storici che hanno portato alla nascita dell’assicurazione. “Quando nel XII secolo nacque l’assicurazione marittima, i traffici navali ripresero vigore. È opinione condivisa tra gli storici che l’assicurazione sia stata non figlia, ma madre del progresso economico: liberando l’uomo dell’ansia del futuro, infatti, egli decuplica la propria capacità di generare ricchezza”. Secondo Rossetti le cause dell’attuale sottoassicurazione italiana sono molte: economiche, strutturali, culturali, forse anche politiche. Ma soffermandosi in particolare sugli ostacoli giuridici, il magistrato ne ha evidenziati due. Il primo riguarda l’adeguatezza dei prodotti assicurativi. “Molti ancora oggi, lato offerta, pensano che il prodotto assicurativo sia un oggetto da vendere, quando invece esso serve ad andare a soddisfare un bisogno di sicurezza, bisogno che varia a seconda dell'individuo o dell’azienda. Pensare di riuscire a coprire tutte le differenti esigenze con contratti non solo standardizzati, ma anche immodificabili, è controproducente. In taluni casi i prodotti diventano inutili e inefficaci”. Secondo il magistrato, il grande problema dell’adeguatezza dei contratti ai profili di rischio può essere arginato “con una maggiore responsabilizzazione e un maggiore potere di modifica in capo all’intermediario, adattando il contratto, senza toccarne i gangli centrali, alle reali esigenze specifiche dell’assicurato”. Il secondo ostacolo rilevato da Rossetti riguarda la tecnica scrittoria dei contratti. La metà delle controversie che arrivano in Cassazione, ha detto, riguardano l’interpretazione dei contratti, documenti che “ancora oggi descrivono le cose con formule vecchie di secoli, non solo per quanto riguarda i contenuti, ma anche per la forma”. Secondo il giudice della Cassazione, quindi, “è giunto il momento di risciacquare in Arno la tecnica scrittoria dei contratti, coinvolgendo tutti gli attori, non solo i manager e gli intermediari, ma anche i filologi e i linguisti”.

Assicuratori e tessuto imprenditoriale, lavorare insieme per adeguare i prodotti

La discussione è stata conclusa da una tavola rotonda in cui si sono confrontati Umberto Guidoni e Francesca Brunori. Il rappresentante di Ania ha voluto replicare alle accuse rivolte all’industria assicurativa, sottolineando l’importanza strategica del cliente per le compagnie: "se al cliente diamo una risposta insoddisfacente - ha detto - lo perdiamo”. Guidoni ha poi posto l’accento sulla grande quantità di adempimenti che ruotano attorno a una polizza, che rendono molto complesso il lavoro dell’assicurazione e degli intermediari, “i quali svolgono un ruolo centrale nel fornire al cliente una raccomandazione personalizzata e la capacità di interpretare i loro bisogni”. Proprio dal punto di vista dei clienti, Francesca Brunori ha sottolineato un problema molto sentito e già sollevato dal giudice Rossetti, cioè l’incidenza della scarsa chiarezza dei contratti nella bassa penetrazione assicurativa. “La distanza tra le imprese e mercato - ha aggiunto - è dovuta anche ad altri fattori, come la qualità dell’offerta. L’Ivass – ha ricordato –ha segnalato un deficit di coperture in determinati ambiti relativamente a rischi che non trovano un’adeguata copertura. Il nostro auspicio è che le compagnie proseguano il loro impegno per trovare soluzioni assicurative che possano favorire il sistema”. Su questo aspetto, Guidoni ha voluto raccogliere l'invito al dialogo di Confindustria, "così da cambiare assieme, discutendone congiuntamente l’offerta assicurativa rivolta alla realtà imprenditoriale, rendendola adeguata".

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