Accidentalità o fatto accidentale
21/07/2021
Il termine è usato prevalentemente nelle polizze che assicurano la Responsabilità civile, che in genere “subordinano il risarcimento del danno alla condizione che l’evento dannoso costituisca “fatto accidentale” e su questo complesso concetto ruota l’intera architettura di questo tipo di assicurazione.
Esso serve a sottolineare il carattere di involontarietà del danno, evitando, ad esempio, che la polizza si trasformi in uno strumento di protezione per chi dovesse procurare artatamente un danno a terzi, giacché assicurarsi contro le conseguenze di un proprio comportamento doloso è vietato dalla legge (con la significativa eccezione disposta dall’articolo 2049 del codice civile, per i danni causati da dolo delle persone di cui l’assicurato debba rispondere) e il relativo contratto sarebbe perciò nullo.
Le polizze di Responsabilità civile prevedono dunque una clausola contrattuale che definisce il rischio oggetto della copertura e l’obbligo per l’assicuratore di tenere indenne l’assicurato “per danni involontariamente cagionati a terzi, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata l’assicurazione”.
Occorre quindi stabilire la sussistenza del carattere di accidentalità dell’evento dannoso, le cui conseguenze sono coperte dalla polizza.
Nella Responsabilità civile, un fatto può qualificarsi come accidentale quando, pur sussistendo la generica possibilità del suo accadimento, intervengano circostanze estranee all’attività dell’agente (o alle modalità della sua esecuzione), nel causare uno specifico danno a terzi. Dev’essere insomma ravvisata la colpa (anche grave) dell’assicurato e non la volontarietà dell’atto, ma la questione è assai più complicata.
A tale proposito, significativo è l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile, sez. III, n°4799 del 26 febbraio 2013), secondo il quale “l’assicurazione della responsabilità civile, mentre non può concernere fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, importa necessariamente per la sua stessa denominazione e natura l’estensione ai fatti colposi, restando escluso, in mancanza di espresse clausole limitative del rischio, che la garanzia assicurativa non copra alcune forme di colpa. Pertanto, la clausola di un contratto di assicurazione che preveda la copertura del rischio per danni conseguenti a fatti accidentali è correttamente interpretata nel senso che essa si riferisce semplicemente alla condotta colposa in contrapposizione ai fatti dolosi”.
Non tutti i fatti colposi sono però coperti dalla garanzia assicurativa, ma soltanto quelli accidentali, con esplicito riferimento alla repentinità e brevità del comportamento che genera il danno, a differenza di quanto accade con i comportamenti prolungati, permanenti o reiterati, che connotano invece una certa preordinazione dell’azione.
Da quanto detto, risulta evidente come il concetto di accidentalità, per la sua complessità e per i suoi notevoli risvolti pratici nella definizione dei danni risarcibili, abbia dato luogo a molte polemiche e a un vivace dibattito in dottrina e giurisprudenza.
Come si è accennato, si ritiene generalmente che, quando una clausola contrattuale limita il risarcimento ai danni conseguenti a fatti accidentali, questa copre tutte le condotte colpose, a esclusione solo di quelle dovute a caso fortuito o forza maggiore che, come abbiamo visto, non presuppongono responsabilità.
C’è chi ritiene, invece, che l’accidentalità non dipenda dall’imprevedibilità dell’evento dannoso, ma dalla sua incertezza. In tal caso, pur essendo possibile prevedere il verificarsi di un’evenienza, sarà l’incertezza dei fattori che concorrono a causare il danno a connotare il fatto come accidentale.
Sarebbe quindi preferibile inserire nel glossario delle polizze una definizione che identifichi meglio il concetto di accidentalità che determinerà la risarcibilità del danno, tenendo conto che ciò non potrà prescindere dall’oggetto della garanzia.
Bisognerà considerare, ad esempio, che nell’ambito della Responsabilità professionale, l’evento dannoso finisce per forza per dipendere dall’attività dell’agente e dalle modalità con cui la stessa viene eseguita.
Sotto questo profilo, sono molti gli operatori del mercato critici sull’adozione di questa limitazione, per lo meno nell’ambito della responsabilità contrattuale, e alcune compagnie di assicurazione non riportano l’espressione accidentale nelle loro polizze, anche perché l’articolo 1917 del Codice Civile, che dispone il funzionamento dell’assicurazione della responsabilità civile, di tale termine non fa menzione.
In tal caso, la definizione del rischio riporterà la seguente dicitura: “L’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento di danni involontariamente cagionati a terzi, in conseguenza di un fatto verificatosi in relazione all’attività svolta”.
C’è poi da considerare che il concetto di accidentalità, seppure applicato principalmente nella responsabilità civile, è utilizzato in altri rami assicurativi, come quello degli Infortuni. Qui esso si confonde proprio con il concetto di infortunio, inteso come evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, ovvero come un evento accidentale che abbia un effetto lesivo sulla persona.
In questo caso, però, bisogna operare un distinguo, perché l’oggetto della copertura non è qui volto a identificare una responsabilità e dunque prescinde dal concetto di colpa che, come abbiamo visto, è invece il nucleo della definizione utilizzata nell’ambito della responsabilità civile.
In questo caso, la spiegazione del termine si può agevolmente limitare a quanto indicato nei vocabolari, come il famoso Treccani: “accidentalità s. f. – casualità: fatti che si presentano con carattere di accidentalità; con valore più concreto, circostanza accidentale, fortuita”.
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