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Pensioni, la lunga strada per la parità di genere

L'editoriale di Maria Rosa Alaggio, dal numero di marzo 2024 di Insurance Review

Pensioni, la lunga strada per la parità di genere hp_vert_img
La costruzione di nuovi asili nido sarà sufficiente a ridurre il gender gap nel nostro Paese? Sollecitare l’impiego di risorse economiche a favore di più numerosi centri per l’infanzia, in particolare nel sud Italia, rappresenta ovviamente una misura importante per agevolare l’accesso delle donne al mondo del lavoro, evitando quelle penalizzazioni nel percorso professionale che sono causate dalle tante rinunce a cui l’universo femminile è sottoposto per conciliare attività lavorativa e vita privata, cura dei figli e assistenza a genitori anziani. 
Leggendo però le evidenze che emergono dal primo rapporto sui divari di genere realizzato dalla Direzione centrale studi e ricerche dell’Inps, ci si rende conto di quanta strada sia ancora necessario percorrere per valorizzare il contributo delle donne nel settore privato e in quello pubblico, per operare sulla base di una reale equità salariale, con le stesse opportunità di carriera, e aspirare così anche a un trattamento pensionistico che non rappresenti un’ultima, definitiva, discriminazione.  
Ciò che illustrano i dati dell’Inps è un quadro in cui le donne risultano ancora decisamente penalizzate nell’ambiente lavorativo, nella remunerazione, nella gestione della vita privata e, quindi, anche quando vanno in pensione. 
Idealmente, va detto, è stata superata quella preclusione all’accesso delle donne a molte professioni. Sono state riconosciute qualità, competenze, professionalità in ambiti una volta preclusi all’universo femminile. Ma nei fatti persiste una “segregazione occupazionale di tipo orizzontale”, come la definisce lo studio dell’Inps, che prevede ancora molti limiti per le donne ad accedere a mansioni per cui vengono ancora preferiti i colleghi uomini. 
Per non parlare della scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali e maggiormente remunerative. Nel 2010 il 13% dei quadri e dei dirigenti era di sesso femminile, mentre nel 2022 questa percentuale è salita al 21%: una crescita irrisoria o un balzo in avanti? 
Ma al di là delle posizioni al vertice che tuttora le donne faticano a ricoprire, è in particolare la disparità salariale a evidenziare un gap difficile da colmare, con un vantaggio del reddito annuale degli uomini di ben il 40% in più rispetto a quello delle donne.
Quanto alla penalizzazione delle donne nella vita privata, basti pensare che ancora oggi il congedo parentale viene chiesto per l’80% dalle donne, le quali registrano anche un maggiore ricorso al part time e in generale un numero inferiore di giorni lavorati in un anno. 
Il divario nella continuità delle carriere e nel salario riservato alle donne non può pertanto che pesare sui trattamenti retributivi e contributivi. Nel 2022 l’Inps ha erogato 322 miliardi di euro in pensioni e prestazioni assistenziali, di cui 180 destinati agli attuali 7,8 milioni di pensionati e 140 miliardi a 8,3 milioni di pensionate: una differenza di 40 miliardi, nonostante le donne che percepiscono la pensione siano più numerose degli uomini. L’importo medio mensile percepito dalle donne, infine, è pari a 1.416 euro, del 36% inferiore rispetto a quello maschile. 
Proprio quest’ultima percentuale dà in particolare l’idea di ciò che ci aspetta se non si corre presto ai ripari e merita una riflessione più ampia, che può sì partire dalla necessità di costruire asili nido 
in tutto il territorio nazionale, ma che deve comprendere necessariamente anche azioni trasversali al mondo del lavoro. Azioni che sappiano tradursi in una maggiore presa di coscienza nelle strategie occupazionali, nell’introduzione di nuove opportunità di carriera, in trattamenti remunerativi e previdenziali più equi. E capaci finalmente di andare oltre i riconoscimenti solo formali.

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