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A quando uno sviluppo di sistema?

Per uscire dall’autoreferenzialità, banche, assicurazioni, mondo accademico e industria devono tornare a lavorare insieme. Nonostante le nuove regolamentazioni europee spesso le mettano in competizione, se non in aperto contrasto

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Un confronto tra visioni diverse, a partire dalle proprie posizioni di leadership nei rispettivi settori. È quanto ha proposto, martedì 30 giugno, Cineas, nel corso di un ristretto workshop cui hanno partecipato importanti relatori del mondo della rappresentanza industriale, del consesso accademico e delle compagnie di assicurazione. Avrebbe dovuto esserci anche un altro interlocutore, il settore del credito, che però era assente e non ha quindi portato il contributo sperato al dibattito. 

Un confronto davvero aperto e senza troppe reticenze che è partito dalla regolamentazione ma che poi ha preso altre strade, per arrivare alla conclusione che per recuperare il tempo perso, a causa della crisi, ma anche di scelte politiche e industriali pigre e sbagliate, sia necessario che i settori dell’economia mettano a fattor comune le proprie competenze: magari anche rinunciando a qualcosa, per il futuro di uno sviluppo di sistema. Il workshop, dal titolo "Leader’s view – Solvency II e Basilea III: saranno il motore della ripresa economica e industriale?", ha visto la partecipazione di Gianpiero Brignoli, solvency & capital management del gruppo Helvetia Italia, Carlo Bonomi, vice presidente di Assolombarda credito, finanza e fisco, Fabio Cerchiai, presidente di UnipolSai e Giuseppe Corvino, docente di Economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi. 

Adolfo Bertani, il presidente di Cineas, che ha coordinato i lavori, ha ricordato alcuni dati che delimitano i contorni del declino italiano degli ultimi: a partire dal peso sul Pil del settore industriale, che è calato dal 23% al 18% negli ultimi 15 anni e le sofferenze bancarie che al momento valgono 200 miliardi di euro, pari al 10% degli impieghi. “Tuttavia – ha aggiunto Bertani – se il settore delle industrie investisse l’1% in più, il beneficio sulla ricchezza nazionale aumenterebbe dell’1,5% per cinque anni”. 

ANCHE PER LE ASSICURAZIONI IL CAPITALE HA UN COSTO 
In questo contesto si inseriscono le novità normative: Solvency II, che sarà in vigore dal primo gennaio 2016, per il settore assicurativo, e Basilea III, per il settore bancario. La vigilanza delle banche, spostata a livello europeo alla Bce, ha già evidenziato problemi di capitalizzazione ed eccessiva esposizione per il settore italiano, mentre Eiopa, al momento, ha promosso le compagnie italiane.

“Tuttavia – ha ricordato Brignoli nella sua relazione tecnica – Solvency II potrebbe portare a forti aumenti di capitale per le compagnie danni, mentre per il settore vita, tassi bassi e volatilità restano un rischio più che tangibile”. Le compagnie si chiedono, in questo scenario, come conciliare redditività, margine di solvibilità e sviluppo del business. A questo si aggiunge che anche la clientela è coinvolta: “il circolo del capitale – ha evidenziato Brignoli – deve contemperare esigenze diverse, tutte legittime. Quelle degli azionisti, dell’impresa che deve fare business e dei clienti che devono essere protetti”. Il mondo assicurativo deve far percepire che il capitale ha un costo (ecco che si spiega la virata, nel vita, verso le polizze di ramo III) e, a livello sistemico, proporre meccanismi di trasparenza, oltre a buone pratiche nel circolo virtuoso che deve intercorrere tra azienda assicurata-assicuratore-banche. 

L’AUTOREFERENZIALITÀ ITALIANA 
Dal punto di vista degli industriali, banche e assicurazioni, in questi anni, hanno salvato molte aziende. Assolombarda teme l’impatto negativo di Basilea III, perché nuovi requisiti normativi, paradossalmente, non premiano le banche esposte verso l’economia reale, ma quelle che guardano più alla finanza. “La normativa europea – ha sostenuto Bonomi – è stata disegnata così anche perché l’Italia non è riuscita a far valere le proprie posizioni nella fase dei negoziati: non si è fatto lavoro di lobbying”. 

La colpa, secondo Corvino, è però soprattutto dell’Italia che non riesce a uscire dalla propria autoreferenzialità. “Mentre gli altri Stati erano molto attivi in fase di preparazione della normativa, il sistema Italia non prestava la stessa attenzione. Le persone che hanno partecipato ai lavori per l’Italia hanno fatto un lavoro eccelso pur nei limiti del loro numero, dei mezzi loro a disposizione e del supporto che il sistema Italia gli offriva. È necessario capire che esistono best practice internazionali che vigilano sul nostro Paese”. 

MA SU GOVERNANCE E TRASPARENZA L’EUROPA FA BENE 
Se, quindi, è la vigilanza europea a dettare le nuove regole, il mondo assicurativo si deve chiedere qual è il prezzo da pagare per Solvency II e in cambio di cosa. Cerchiai ha ricordato che il risk management esisteva anche prima della vigilanza europea e che il problema della remunerazione del capitale è nella normale logica del business. “Il nuovo regolatore – ha detto il presidente di UnipolSai – ha avuto un effetto molto positivo sulla governance e la trasparenza. Negli ultimi cinque anni, il livello di competenza del board è aumentato esponenzialmente. Tuttavia, sono contrario ad accostare troppo banche e assicurazioni: il loro ruolo deve rimanere distinto. Sono contrario all’erogazione diretta del credito ma sarei favorevole, invece, a quello che si fa in Francia: grazie a incentivi fiscali, una parte delle riserve tecniche del vita è utilizzata per il finanziamento delle aziende. Un meccanismo trasparente anche verso il consumatore che affida i sui risparmi all’assicuratore”. 

I diversi settori, negli anni, hanno tutti fatto valide proposte ai vari governi, senza ottenere, a quanto riferiscono, risultati apprezzabili. Anche la buona idea dei project bond, ha spiegato sempre Cerchiai, nella logica di impresa di un’assicurazione non è sempre conveniente. “L’eccesso di liquidità – ha commentato – ha determinato la possibilità di finanziarsi a tassi vicini all’1%, il che per un assicuratore non è pensabile sul medio-lungo periodo”. 

LA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA
Banca e impresa di assicurazioni hanno spesso esigenze opposte e difficili da conciliare. Corvino ha ricordato che una manovra come il Quantitative easing, se risolve il problema del credito e dei bilanci degli istituti, sul lungo periodo danneggia il settore assicurativo perché affossa i rendimenti. La strada di conciliare gli interessi dei mondi industriale, bancario e assicurativo è, come si vede, molto complessa, anche per via di una crisi della rappresentanza che ha investito i corpi intermedi. 

Se colossi come Fca e Unipol escono dalle rispettive associazioni di categoria e diventano interlocutori privilegiati della politica, queste stesse associazioni dovranno farsi delle domande. “Confindustria – ha ammesso Bonomi – non deve chiedersi perché Renzi non venga alle sue assemblee, ma che perché non ci sia Marchionne”. Cerchiai ha ricordato come in passato le associazioni di categoria avevano cercato di concertare un documento d’azione comune: “avevamo provato a farla noi la politica industriale al posto del governo”. 
Ora, ha continuato, “l’attuale premier vede i ‘corpi intermedi’ come ‘allungatori’ e non ‘accorciatori’ per le scelte e, giustamente, va a parlare con chi dimostra di voler fare e di mettersi in gioco”. 

Per cercare di tirare le fila dei lavori, Cineas ha quindi proposto di aprire un tavolo che metta insieme “chiunque ci stia” per studiare proposte concrete nate dal confronto dei motori dell’economia italiana.

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