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Come non perdersi nel mare dei big data

Quante informazioni possono essere contenute in un computer? È stato stimato che negli ultimi due anni sono stati accumulati il 90% di tutti i dati reperibili in assoluto. Secondo il CEO di Google, Eric Schmidt, in un giorno si raccolgono ormai tante informazioni quante quelle accumulate dall’origine della società civilizzata così come la conosciamo al 2003.

Un mare sterminato e spaventoso di dati, nel quale è facile immaginare di potersi perdere. Assicuratori e intermediari dovranno essere ben consci di come manovrare il timone della loro nave. Perché sanno che grazie ai big data cambieranno i metodi per valutare, quotare e sottoscrivere i rischi. Sia nel comparto retail che in quello corporate.

In primo luogo attraverso prodotti e sempre più personalizzati. Anche attraverso i tanti citati strumenti “indossabili”. Che siano venduti direttamente dalle compagnie oppure siano device indipendenti poco importa: le opportunità per avere un occhio più vicino al cliente e per offrire prodotti sempre più sartoriali cresceranno esponenzialmente. Nel Regno Unito, per esempio, grandi passi avanti sono stati fatti con l’introduzione del sistema MyLicense (di cui avevo già parlato qui), capace di raccogliere informazioni sugli stili di guida con l’obiettivo di personalizzare le polizze e di arginare le truffe. Un po’ come si sta cercando di fare in Italia con la dematerializzazione del contrassegno per l’RC auto.

Aumentano quindi le fonti e la quantità di dati disponibili. Mentre si sta ancora cercando di capire come utilizzarli al meglio. Si sta paradossalmente correndo il rischio di raccogliere troppe informazioni senza una visione strategica di quelle che possono essere le reali utilità. Si sa dove gli assicurati vanno, quando ci vanno e quale è la loro propensione a commettere infrazioni. Ma con il passare del tempo ci saranno sempre più informazioni e la sfida sarà capire quali altri importanti output si potranno trarre dalle analisi effettuate.

Un altro rischio che mi viene in mente, facendo queste riflessioni, è di tipo sociologico. Si andrà incontro, secondo me, alla definizione di due schieramenti opposti tra gli utenti di servizi assicurativi: quello dei confident, quel 35/40% che ormai si è dotato (almeno sull’auto) di un dispositivo che lo fa sentire più sicuro e controllato. E quello degli oppositori, che si sentono invece sempre più preoccupati da un utilizzo così “invadente” della tecnologia. All’alba dell’accordo tra Google e FCA per lo sviluppo della macchina del futuro, sono in molti a temere un mondo nel quale le automobili saranno completamente connesse tra loro. La sfida, da questo punto di vista, sarà ovviamente trovare i sistemi per fare in modo che questo accada in maniera sicura. Ci vorrà del tempo e, così come nel mondo dei personal computer, spesso saranno gli hacker a camminare due passi più avanti.

Il mare, in conclusione, è sempre più grande. E i rischi, che possono emergere dai flutti o arrivare dal cielo, sono ben nascosti. Bisogna tenere a portata di mano la bussola degli obiettivi, per non perdersi e arrivare alla meta rappresentata dall’ottenimento di benefici tangibili sia per gli utenti che per chi “sfrutta” i big data.



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