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La nostra sanità tra pubblico e privato: quale futuro?

In Italia, la sanità si presenta con grandi differenze date dal territorio.
La qualità della stessa, che pure può vantare vere punte di eccellenza, in alcune regioni si presenta lacunosa per i servizi prestati, come se ostentasse una sorta di rassegnata mediocrità dovuta alla crisi del welfare sanitario, ai continui “tagli”, ma anche a una sorta di antico lassismo, che è sotto gli occhi di tutti e ancora più sentito di fronte ad una popolazione che invecchia sempre di più e, di conseguenza, ha l’assoluta necessità di maggiore assistenza.
Dal perdurante disinvestimento della spesa sanitaria, si ha la percezione che non vengano valutati i gravi rischi sociali a cui è sottoposta l’intera collettività.
Difficile immaginare un futuro sanitario “liberale”, che tanto ha affascinato i Governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni. Altrettanto difficile ipotizzare a livello nazionale un sistema equo, spalmato sull'intero stivale, che dia un decoroso e onesto servizio a tutti.
Ci si pongono delle domande.
La prima sarebbe: chi si potrà permettere ancora cure “adeguate” alla propria patologia?
La seconda domanda, ovvia, è sull’utilità della stipula di una polizza sanitaria: quali le condizioni generali e particolari di polizza oggi erogate? Esclusioni e inclusioni si sprecano in qualche non raro passaggio; per non parlare della durata contrattuale inderogabilmente annuale, della disdetta al primo sinistro e di molto altro altro....
Il settore malattie non è molto gradito alle imprese di assicurazione: i prezzi sono sempre stati alti, forse anche per lo scarso numero di teste coinvolte, ma anche per una precisa scelta commerciale.  Rare le convenzioni, scarsa la volontà, malgrado i fiumi di parole espresse positivamente in tal senso (peraltro sempre disattese); le polizze annuali sono non di rado stornate dalla compagnia anche senza sinistro! In altre parole, nessuna protezione che segua davvero l’esistenza dell'assicurato.
Un progetto che vada effettivamente a “ integrare “ la sanità pubblica per l’intera collettività, per intenderci, dovrebbe garantire – gioco forza -, efficienza e qualità del servizio, nonché un serio finanziamento proprio attraverso la Confindustria assicurativa.
Siamo preparati alla modifica del sistema?
O la solidarietà civile corre verso un baratro?
Si tratta di un processo involutivo?
Le compagnie di assicurazione hanno progetti che possano integrare la sanità pubblica, senza “escludere” i più deboli da questa società malata?
Il sistema sanitario nazionale – sorto trentasette anni fa -, pur con le diverse sfaccettature, dovute essenzialmente al territorio sul quale la “ qualità ” è una variabile importante, ha garantito all’intera collettività, inclusi coloro che sono giunti nel nostro Paese come migranti, prestazioni sanitarie efficaci a costi abbordabili.
Malgrado alcune lacune, nella sostanza credo si possa orgogliosamente paragonarlo ad altre realtà internazionali.
Non ci sono dubbi che, grazie alla grave congiuntura, la misurazione della spesa in generale, il suo costo rapportato al Pil o su ogni singola testa, è di parecchio inferiore ai Paesi cosiddetti “ sviluppati “!  Si prevede, proprio perché la vita media tende sempre più ad allungarsi, un forte aumento della nostra spesa pubblica sanitaria.
La Ragioneria Generale dello Stato dichiara, per il 2060, una spesa sanitaria rapportata al Pil pari all’8,2% di esborso, pur ipotizzando politiche attive di risparmio.... ulteriore...
Esiste anche la seria ipotesi che la stessa spesa potrebbe crescere di un ulteriore 4%, prendendo in considerazione i “ non “ autosufficienti che salgono vertiginosamente. Solo in Europa, i casi di Alzheimer diagnosticato tramite Pet, sono in crescita, con 1.500.000 di nuovi malati all'anno. Si calcola che un altro milione di europei, che non hanno potuto affrontare l’alto costo della diagnostica nucleare (Pet), venga curata sulla base di una più generale demenza senile, le cui incombenze di assistenza e di cure ricadono esclusivamente sulle famiglie. Le liste di attesa per possibili ricoveri nei competenti Centri Rsa si aggirano dai 12 ai 36 mesi, a seconda della latitudine.
La stessa Ocse prevede cifre importanti in aumento alla spesa pubblica, che si aggirerebbero dai 3 ai 7 punti per sanità vera e propria o non autosufficienza.
Una cifra spaventosa.
Tra gli italiani meno abbienti si sta diffondendo un pericoloso senso di “ rinuncia”, per mancanza di mezzi economici, ma anche dei tempi esageratamente lunghi di attesa delle prestazioni, oltre alle importanti differenze di qualità tra Nord, Centro e Sud.
Va certamente affrontato l’argomento, andando a riflettere seriamente su ambiti e ruoli, su come operare tra i due “ pilastri “  del finanziamento (pubblico e privato), della nostra sanità.
Gli interventi delle società di mutuo soccorso, casse sanitarie o compagnie di assicurazione sono decisamente bassi: la spesa più consistente esce soprattutto dalle tasche degli italiani.
La spesa rispetto al Pil è del 2%, di cui solo lo 0,3% esce dall’intervento del “privato”, mentre l’1,7% è sostenuto dal cittadino.
Ad oggi mancano concreti progetti per integrare e migliorare il sistema sanitario nazionale.
La Francia, ad esempio, ha ben integrato i due sistemi, con ruoli rilevanti nelle coperture complementari, rimborsando la parte convenzionata, mantenendo un 10% della spesa sanitaria annuale e coprendo circa il 90% della popolazione.
Sono vari e diversificati i sistemi usati in Europa per affrontare lo spinoso problema.
Da noi, poca concretezza e nulla di fatto: il problema strutturale sanitario integrativo è in standby: tante parole, convegni gremiti, articoloni ...ma fatti....pochi!
Nel settore malattia, tuttora latitante, viene a mancare la volontà vera per tracciare un sistema organico e definire chiaramente la “ spesa “ dell’intervento pubblico per Regione.
Solo così si potrebbe operare per una reale integrazione degli operatori privati.
Sarebbe auspicabile anche un intervento fiscale ad hoc, studiato appositamente per le detrazioni: questo aiuterebbe il possibile decollo di un nuovo progetto, utile anche per le polizze assicurative, che godono di una grande disparità fiscale andando a pagare, sull’imponibile del premio, un 2.50% di tasse.
Bisognerebbe prendere in considerazione anche le polizze collettive, comprese le Ltc.
E’ una strada che va tentata e studiata nell’ambito delle varie attività professionali, per categoria di lavoratori, età, zone, giusto per rendere sostenibile il prezzo dei contratti assicurativi. Andrebbero coinvolti Comuni e Regioni, magari con un piccolo quid a carico di tutti i cittadini, anziani e bambini compresi.
Non bisognerebbe farsi distrarre da preconcetti ideologici.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di aiutare a migliorare il “sistema Paese”, nell’interesse della salute dei cittadini, adeguando il “ tutto “ alla qualità e a servizi accettabili.
Senza dimenticare di agevolare una sana concorrenza, che stimolerebbe efficienza e costi minori.
Carla Barin



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