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Trasparenza nell’accesso ai documenti

Un’importante decisione del Tar della Lombardia sottolinea l’obbligo per gli ospedali di rendere disponibili le proprie informazioni ai pazienti che ritengono di avere subito un danno

Trasparenza nell’accesso ai documenti hp_vert_img
Chiudiamo questa rubrica per l’anno 2019 con la notizia di una sentenza resa dal Tar della Lombardia che sta suscitando una certa attenzione nel mondo delle aziende sanitarie e giudiziario (n. 02396 del 12 novembre 2019). 
Si tratta di un pronunciamento reso dal tribunale amministrativo sull’istanza dei congiunti di un paziente, di acquisire tutti gli atti e i documenti prodotti presso un ospedale pubblico ove era stato curato il parente e ove era deceduto proprio a causa delle cure prestate presso il nosocomio. 
I congiunti della vittima avevano presentato un’istanza di accesso agli atti chiedendo che venisse loro esibita la seguente documentazione: a) denuncia di sinistro all’assicurazione; b) perizia medico legale eventualmente espletata in relazione al decesso della paziente; c) copia del contratto di assicurazione dell’azienda; d) verbale (o verbali) di valutazione del Comitato valutazione sinistri (Cvs); e) lettera di massima esposizione eventualmente inviata dalla compagnia assicuratrice all’azienda sanitaria; f) ogni altra documentazione e/o informativa relativa alla vicenda in questione.
L’istanza veniva respinta dall’amministrazione ospedaliera sul presupposto che la responsabilità del nosocomio non sarebbe impegnata e, soprattutto, che gli atti di valutazione interni (come il verbale del Cvs e le perizie medico legali) sarebbero da intendersi quali atti connessi a una potenziale lite giudiziaria e perciò sottratti alla loro divulgazione a pena di pregiudizio al diritto di difesa. 

Le regole di consultazione per i pareri legali
Contro questo provvedimento di diniego, i congiunti del paziente rivolgevano istanza al tribunale amministrativo il quale, nell’accogliere l’istanza, si basa sul ragionamento che segue. 
Premette il collegio che l’istituto del diritto di accesso agli atti ha la funzione di garantire l’imparzialità, la trasparenza e il buon andamento della pubblica amministrazione, valori direttamente tutelati dall’articolo 97 della Costituzione. Ciò detto, le ipotesi in cui tale diritto non può essere esercitato sono solo quelle tassativamente indicate nell’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, nel quale si prevede, fra l’altro, che sono esclusi dall’accesso i documenti coperti da segreto espressamente previsto dalla legge o da norme regolamentari emanate dall’amministrazione che detiene il documento.
Nel nostro caso, l’attenzione va focalizzata soprattutto sui pareri legali (contenuti nei documenti richiesti) per i quali sono stati elaborati i seguenti principi:

  • l’accesso è consentito quando il parere ha una specifica funzione endoprocedimentale, risultando correlato a un procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento a esso collegato anche solo in termini sostanziali e, quindi, pur in assenza di un richiamo formale a esso (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444); 
  • l’accesso non è invece consentito quando la consulenza viene effettuata dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, o anche meramente amministrativo) oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose, se il parere reso dal professionista individuato dall’amministrazione non è destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico-giuridici utili per tutelare i propri interessi.
Fatta questa premessa, il Tar, nell’accogliere l’istanza dei congiunti della paziente, rileva che nel caso specifico, i limiti posti alla esibizione dei pareri legali non possano trovare applicazione. 

I principi secondo la legge Gelli-Bianco
Infatti, per la documentazione di carattere medico, trova invece applicazione l’opposto principio della trasparenza sancito dall’articolo 4 della legge n. 24 del 2017 (Legge Gelli-Bianco) il quale, al primo comma, stabilisce che “Le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private sono soggette all’obbligo di trasparenza, nel rispetto del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196” e, al secondo comma, prevede esplicitamente che “La direzione sanitaria della struttura pubblica o privata, entro sette giorni dalla presentazione della richiesta da parte degli interessati aventi diritto, in conformità alla disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi e a quanto previsto dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, fornisce la documentazione sanitaria disponibile relativa al paziente...”.
Ritiene il Collegio che - in assenza di specifiche previsioni che impongono il segreto e anzi, come visto, in presenza di specifiche previsioni che sanciscono l’opposto principio della trasparenza - non possa essere negato l’accesso alle perizie mediche e ai verbali dei comitati valutazione sinistri istituiti all’interno delle strutture ospedaliere. 
È questo un punto che avrà un impatto rilevante sulla gestione delle controversie sanitarie, per aziende pubbliche e convenzionate, e che trova ispirazione nella stessa ratio della richiamata Legge Gelli-Bianco la quale, si rammenta, oltre a istituire il diritto alla sicurezza delle cure, introduce, proprio con l’ispirazione ben sussunta nella decisione del Tar, canoni obbligatori di trasparenza e comunicazione verso l’utenza del servizio. 
Più in generale il Tar osserva infine che l’interesse del paziente (o dei suoi eredi) a prendere conoscenza di questi documenti al fine di verificare se le cure erogate dalla struttura medica siano state appropriate è correlato al fondamentale diritto alla salute, tutelato dall’articolo 32 della Costituzione, oltreché al diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 della Costituzione.
Si tratta pertanto di un interesse che il Collegio considera prevalente rispetto a quello della pubblica amministrazione a tenere riservati dati che potrebbero risultare a essa sfavorevoli in un contenzioso (in atto o potenziale), salva ovviamente la prevalenza dell’interesse di quest’ultima alla riservatezza riguardo ai pareri legali che, sulla base di quei dati, impostano la sua strategia difensiva. 
Così, conclude la decisione accogliendo il ricorso delle parti istanti, in questo quadro si deve ritenere che non vi sia ragione per negare l’accesso alle perizie e ai verbali del Cvs.
Se si vuole, questa decisone è un precipitato storico importante che trae proprio spunto dalle ragioni ispiratrici della legge 24 del 2017 e anche dai principi primari del nostro ordinamento sulla tutela della persona e sul diritto alla piena efficacia dell’azione giudiziaria, quando una parte sostenga di avere subito un torto, per di più nell’esercizio di un suo diritto assoluto, come la salute e la salvaguardia delle cure sanitarie.

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