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Prevedibilità delle decisioni e nomofilachia: un’utopia?

La diatriba tra i tribunali di Roma e Milano sulle tabelle di liquidazione del danno assurge a modello di quello che può diventare il rischio di un diritto “liquido”, la cui prima conseguenza è il mancato rispetto del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione

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In un convegno dello scorso anno il professor Natalino Irti ha affermato che, paradossalmente, in un diritto che è sempre più incalcolabile e imprevedibile – sia per effetto di un legislatore impreciso e poco chiaro, sia perché stiamo assistendo allo spostarsi delle decisioni giudiziarie al di sopra delle leggi, ovvero a principi / valori che si celano all’interno della Costituzione e di carte dei diritti sovrannazionali – una parziale isola di stabilità è rappresentata dai criteri di liquidazione del danno non patrimoniale elaborati dall’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale di Milano. Ebbene, dopo il famoso decalogo della Corte di Cassazione contenuto nell’ordinanza n. 7513/2018 e dopo le nuove tabelle del danno biologico del Tribunale di Roma, già oggetto di un’approfondita analisi degli avvocati Maurizio Hazan e Luca Perini nello speciale normativo di Insurance Daily del 30 gennaio scorso, questa parziale isola di stabilità rischia di essere spazzata via.
Qual è, infatti, la stella polare che ha guidato il lavoro dell’Osservatorio sulla giustizia civile del Tribunale sia in relazione alle “vecchie” tabelle del danno non patrimoniale, sia con riferimento alle nuove tabelle sul danno intermittente, sul danno terminale, sul danno da abuso del processo e sul danno da diffamazione? Rendere prevedibile la liquidazione del danno non patrimoniale alla luce dei principi enunciati dalla sentenza n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale e dalle note sentenze delle Sezioni Unite n. 26972, 26973, 26974, 26975 del 2008.

Evitare il diritto liquido
L’esigenza di prevedibilità, e quindi di dare certezza al diritto, soddisfatta dalle tabelle milanesi, permette di sollevare lo sguardo affrontando il tema più ampio dei precedenti e dell’istituto della nomofilachia.
A un primo superficiale esame, questo tema appare vecchio e retaggio di un tempo che fu, quando il legislatore nel 1941 stabilì – con il Regio decreto del 30 gennaio 1941, n. 12, – all’articolo 65 che la Corte di Cassazione è l’organo supremo della giustizia e assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.
Ma a un’analisi più approfondita, il tema dei precedenti e della nomofilachia è, invece, di grande attualità per due ragioni.
La prima è di carattere sociologico e coinvolge il tipo di società nella quale viviamo. Una società, citando Zygmunt Bauman, caratterizzata da assetti sociali ed economici liquidi, mutevoli e fluidi dalla quale deriva l’esigenza di costruire un minimo di ordine o, per dirla con Michele Taruffo, qualche parziale isola di stabilità.
La seconda ragione è, invece, di natura giuridica e ha per oggetto l’evoluzione della legislazione in materia di prevedibilità e nomofilachia. Ebbene, se si esamina con attenzione la normativa al riguardo, non possiamo che giungere alla seguente conclusione: la nomofilachia è entrata ormai nel linguaggio del legislatore e i giudici devono oggi porre una grande attenzione a questo istituto per evitare che anche il diritto – come la società – diventi liquido e imprevedibile.

Seguire gli strumenti per un dissenso regolato 
Un esempio chiarirà meglio queste affermazioni. L’articolo 374, comma III, C.p.c. stabilisce che se la sezione semplice della Corte di Cassazione ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, deve rimettere a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
Ciò significa che nella liquidazione del danno non patrimoniale le sezioni semplici della Corte di Cassazione non possono stabilire principi diversi rispetto a quelli enunciati dalle sentenze delle Sezioni Unite di San Martino sopra richiamate.
Detto in altri termini, le Sezioni Semplici della Corte di Cassazione, se ritengono che vi siano ragioni migliori che impongono un cambiamento dei principi che governano la liquidazione del danno non patrimoniale, devono formalizzare tale dissenso. E spetterà poi alle Sezioni Unite della Cassazione la decisione se cambiare orientamento oppure no. È quello che è stato fatto sui danni punitivi quando, con ordinanza n. 9978/2016, la prima sezione della Corte ha sollecitato un ripensamento da parte delle Sezioni Unite sul tema.

Non va dimenticato il principio di uguaglianza
Purtroppo, invece, sulla liquidazione del danno non patrimoniale e, in particolare sulla valutazione e liquidazione del danno morale separatamente rispetto al danno biologico, la terza sezione della Corte di Cassazione, anche con la recente sentenza n. 2788/2019, continua ad affermare principi contrari a quelli enunciati dalle Sezioni Unite del 2008 con le sentenze n. n. 26972, 26973, 26974, 26975.
Tale condotta si scontra anche con l’istituto dei precedenti e della nomofilachia così come disciplinati dall’art. 374, comma III, C.p.c. rendendo il diritto sempre più imprevedibile perché alcuni giudici di merito continueranno a liquidare correttamente il danno non patrimoniale secondo i principi enunciati dalle sentenze di San Martino e altri giudici, invece, liquideranno il danno secondo i nuovi principi affermati dalla terza Sezione della Cassazione non rispettando così anche il principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione.

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