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La sfida dell’alimentare made in Italy

Con un export in crescita, l’agroalimentare è uno dei settori più importanti dell’industria italiana. Le imprese che guardano all’estero devono però saper affrontare le particolarità dei mercati e le diverse criticità assicurative

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Nella straordinaria cornice del Teatro dei Filodrammatici, il 21 giugno scorso si è svolto a Milano il workshop Criticità e problemi assicurativi dell’industria alimentare made in Italy, organizzato dall’associazione Insurance Skills Jam – Il convivio assicurativo, e ospitato dal broker di assicurazioni Verspieren Italia.
Intento del seminario, al quale hanno partecipato imprenditori ed esperti del settore, è stato individuare le opportunità e le difficoltà che interessano il comparto alimentare italiano e comprendere meglio come il settore assicurativo possa essere d’aiuto per supportare la crescita di questo elemento nevralgico della nostra economia.

C'è chi fa meglio
Il settore alimentare costituisce oggi il fiore all’occhiello del made in Italy e risulta in crescita nei consumi, nei fatturati e soprattutto nell’export, come ha rilevato Emanuele Di Faustino, project manager area agroalimentare di Nomisma. I consumatori locali indirizzano sempre di più le loro preferenze verso prodotti di alta qualità, in particolare se italiani al 100% e dotati di certificazioni Dop/Igp. Il vero e proprio boom che ha caratterizzato i prodotti biologici (+15% rispetto al 2016), dimostra inoltre come gli acquirenti valorizzino soprattutto i prodotti salutari ed eco-friendly
Dal 2007 a oggi l’export dei nostri prodotti di punta ha dunque segnato incrementi considerevoli: +104% su cioccolato e prodotti a base di cacao, +84% sui lattiero-caseari, +70% su salumi ed insaccati +69% sui prodotti vinicoli. Le nostre esportazioni faticano però a tenere il passo con i top player del globo e nella classifica mondiale l’Italia è solo nona, con una quota di mercato di appena il 3%, dopo gli Usa (che sfiorano il 10% di share), Olanda, Germania, Brasile, Cina, Francia, Spagna e perfino Canada. Olanda e Germania, ad esempio, pur non essendo particolarmente rinomate per la loro cucina, esportano quasi il doppio rispetto all’Italia. 

Piccolo è buono
In effetti, la ridotta presenza di aziende di dimensioni medio-grandi pone un freno alle nostre esportazioni, perché i nostri prodotti faticano ad arrivare ai consumatori di tutto il mondo. Le piccole dimensioni dei nostri produttori, che garantiscono l’eccellente qualità delle nostre merci, sembrano insomma ostacolare la crescita. 
Una soluzione per questo problema l’ha forse indicata Mario Preve, presidente del consorzio Italia del Gusto, che riunisce una trentina di produttori grandi e piccoli del comparto alimentare, dalla sua Riso Gallo alla Barilla, alla Rana e all’Auricchio
In occasione di una diatriba legale con un’omonima azienda, che produceva pasta e faceva parte di una simile associazione in Spagna, ha raccontato Preve in un gustoso aneddoto, nacque infatti un’amicizia che dura ancora, e il patron di Riso Gallo comprese l’utilità per le aziende di riunirsi in un gruppo di acquisto in grado di ottimizzare processi, costi e ricavi, dal settore energetico a quello degli approvvigionamenti generali.

La via d'accesso al mercato Usa
L’unione può dunque fare la forza del nostro prodotto, ma è anche necessario sapersi orientare tra le criticità che caratterizzano l’export in tanti Paesi dalle normative diverse. Un supporto per le aziende italiane che volessero espandersi negli Usa, tradizionalmente uno dei mercati più importanti per il made in Italy, può essere offerto dall’American Chamber of Commerce in Italy, come ha illustrato Federica Di Pillo, advocacy & marketing manager di questa istituzione. Funzione precipua dell’AmCham è infatti supportare lo sviluppo del business, facendo da intermediario tra società italiane e istituzioni statunitensi, e offrendo una vasta gamma di servizi: dall’individuazione degli obbiettivi più adatti per un’operazione di acquisizione o joint venture negli States, all’analisi degli incentivi offerti dai 50 Stati americani, fino al supporto nell’individuazione della location più adatta per l’apertura di una filiale in loco.

Il ruolo della assicurazioni
Va da sé che le grandi opportunità che oggi investono la nostra industria agroalimentare rappresentano maggiori opportunità anche per l’industria assicurativa, che costituisce un importante elemento per facilitare la crescita economica del Paese, eliminando o riducendo al minimo le criticità che impattano i vari settori economici e produttivi. In questo risiedono, in fondo, il concetto di trasferimento del rischio e la funzione sociale tradizionalmente riconosciuta all’industria assicurativa. Il settore agroalimentare è infatti esposto a una serie di rischi e problematiche, che sembrano crescere parallelamente ad esso. In una recente intervista al quotidiano La Repubblica, il vice presidente del gruppo Barilla, Paolo Barilla, ha dichiarato che il marchio made in Italy non basta più da solo a competere in una realtà sempre più complessa e competitiva, perché globale. 
Il fatto che nella circolazione dei prodotti trovino applicazione in modo imperativo le disposizioni vigenti nel Paese di destinazione in materia di tutela del consumatore, ad esempio, costituisce una grande sfida anche sul piano assicurativo. Il quadro è più omogeneo in ambito comunitario, ha affermato l’avvocato Claudio Perrella dello studio legale Lexjus Sinacta, specializzato nella gestione del contenzioso assicurativo nella Rc prodotti, ma bisogna tener conto della presenza di mercati tradizionalmente critici, come gli Usa, e degli altri sistemi di common law, per non parlare delle riforme introdotte in altri Paesi, come la Cina. 

Il rischio insito nei contesti differenti
Ovunque, il potere di controllo e intervento delle autorità di vigilanza nazionali può comportare gravi problemi per chi esporta, perché è praticamente impossibile orientarsi nella giungla di normative esistenti. L’aspetto contrattuale, poi, è determinante: spesso l’imprenditore si accolla responsabilità eccessive senza rendersene conto, perché i contratti sono scritti in modo incomprensibile o in lingue piuttosto esotiche
Le polizze di assicurazione garantiscono la responsabilità civile derivante dagli obblighi di legge e non certo da obblighi volontariamente assunti dall’assicurato, in forza di norme contrattuali superficialmente accettate. 
Alcuni organi di vigilanza come la Fda americana, inoltre, possiedono ampi poteri di intervento per disporre il ritiro dal mercato di prodotti ritenuti anche solo potenzialmente lesivi, il che può comportare costi elevatissimi e non sempre recuperabili, perché non sempre coperti da apposita assicurazione. 
È dunque necessario ricorrere all’aiuto di esperti in contrattualistica internazionale, onde evitare di trovarsi di fronte a un contenzioso troppo oneroso da gestire e finire col rinunciare aespandersi in una determinata area. 
L’indubbia qualità del prodotto made in Italy non pone le nostre aziende al riparo dalle insidie che si nascondono dietro ai disciplinari e regolamenti locali: occorre quindi presentarsi in questi mercati armati di competenza e di contratti assicurativi adeguati e sufficienti alla bisogna. 
Prova ne sia il sinistro da tampering esposto da Giovanni Lercari, ad dell’omonima società peritale e di loss adjusting, recentemente occorso in Corea a un produttore di mozzarella. La società di Lercari, incaricata dall’assicuratore di accertare le dinamiche del danno, ha infatti dovuto attivarsi per ricostruire i fatti superando la barriera di riservatezza da parte dell’importatore coreano, preoccupato di non stimolare l’attenzione delle locali autorità di controllo e perdere la licenza per commercializzare il prodotto.

L'intermediario, un mediatore culturale
Alla tavola rotonda, da me condotta nel duplice ruolo di segretario di ISJ e membro del team di Verspieren Italia, hanno partecipato Ernesto Boerci, amministratore delegato di Verspieren Italia, Gianfranco Cavallotto, titolare dell’azienda agricola Alta Langa, Riccardo Preve, ad di Riso Gallo, Massimo Estrinelli, managing director di Ferrari Formaggi Industria Casearia, Daniela Marucci, responsabile linea Corporate di UnipolSai e Orazio Rossi, country president di Chubb. Alla luce degli interventi precedenti, si è discusso di come la competenza e le risorse necessarie a condurre con la serenità auspicata il proprio business, soprattutto al di fuori dei confini nazionali, non siano sempre alla portata delle aziende, specialmente di quelle più piccole e meno strutturate, e di come un ruolo determinante sotto questo profilo possa essere svolto dal broker. Oltre che partner necessario all’individuazione della politica di risk management più appropriata, infatti, l’intermediario ha il difficile compito di porsi come mediatore culturale tra l’azienda e l’assicuratore, in un contesto in cui gli interlocutori sono spesso più preoccupati dal contenimento dei costi che dalla necessità di reperire le coperture più adatte. 
Per il mondo assicurativo la sfida consiste invece nell’essere più rilevanti per gli imprenditori e nel renderli più consapevoli di ciò che gli assicuratori possono rappresentare per loro: “è soprattutto in questo settore che hanno bisogno di protezione ha affermato Orazio Rossi bisogna rimuovere i dubbi, le perplessità e soprattutto la sensazione che i clienti hanno di non avere chiaro il perimetro di copertura: noi siamo pronti a partire”. 

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