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Più trasparenza contro il rischio di vessatorietà

Il diritto dei consumatori ha posto al centro il concetto di “buona fede” nel rapporto contrattuale. Le clausole definite “vessatorie” nei contratti assicurativi possono essere retaggio di un modo di intendere il rapporto con il cliente che non tiene conto del cambiamento culturale in atto anche sotto l’aspetto normativo

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L’articolo 3 del Codice del consumo stabilisce che il consumatore è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale artigianale o professionale eventualmente svolta”. Questa definizione è il frutto di un lunghissimo dibattito politico e normativo che si è svolto a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso in sede comunitaria e che è poi confluito nel nostro ordinamento attraverso il recepimento di numerose direttive comunitarie (a titolo di esempio la direttiva sulle clausole abusive, sulla pubblicità, sul credito al consumo, sulla responsabilità del produttore per difetti del prodotto).
Il diritto comunitario è stato, quindi, il principale motore che ha portato il nostro Paese a realizzare un sistema normativo articolato che tutelasse la categoria dei consumatori.
Non bisogna dimenticare, però, anche il ruolo svolto dalla dottrina negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, soprattutto da Gustavo Ghidini e Guido Alpa che, con i loro numerosi scritti, hanno stimolato il legislatore a recepire le direttive comunitarie che venivano via via approvate e hanno contribuito a creare in Italia una cultura giuridica sul tema dei diritti dei consumatori. Se oggi in molte università si insegna il diritto dei consumatori, lo si deve anche a loro, così come si deve anche a loro se nelle leggi il vocabolo consumatore è sempre più utilizzato.

I tre tipi di clausola vessatoria
Come è noto, l’intera disciplina della tutela dei consumatori è raccolta in un testo unico, il Codice del consumo (decreto legislativo del 6 settembre 2005, n. 206). Una parte importante di questo testo ha per oggetto le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori.
Facciamo, però, un passo indietro e ricordiamo che la direttiva comunitaria sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori risale al 1993 (direttiva n. 13/1993) e venne recepita nel nostro ordinamento nel 1996 con la legge n. 52/1996.
In questa legge sono distinti tre tipi di clausole vessatorie: nella prima lista vi sono clausole che si presumono vessatorie senza alcun onere di prova da parte del consumatore; nella seconda vi sono clausole si presumono vessatorie ma l’impresa può dare la prova contraria; nell’ultima lista le clausole possono essere dichiarate vessatorie qualora il consumatore dimostri che esse sono contrarie a buona fede e implicano uno squilibrio contrattuale. Anche se il legislatore ha commesso un errore nella traduzione del testo della direttiva, la vessatorietà della clausola è ricondotta al concetto di buona fede.

Nulla la clausola, non il contratto
Una clausola è vessatoria quando è contraria al principio di buona fede in senso oggettivo. Inoltre una clausola è vessatoria quando crea un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Il significativo squilibrio deve essere giuridico e non economico. Uno dei settori nei quali si è rilevato l’utilizzo da parte della giurisprudenza delle clausole vessatorie è quello assicurativo.
In particolare i giudici hanno affermato la vessatorietà di alcune clausole contenute nelle assicurazioni Rc auto, nelle assicurazioni contro il furto e l’incendio, nelle assicurazioni contro le malattie, nelle assicurazioni contro gli infortuni e nelle polizze tutela legale.
Ecco un esempio: la clausola che nell’assicurazione contro gli infortuni prevedeva la facoltà di recesso sia a favore dell’assicuratore sia a favore dell’assicurato, è stata ritenuta vessatoria da diverse sentenze tra le quali quella del tribunale di Roma del 28 ottobre 2000 perché “produttiva comunque di un significativo squilibrio tra le parti”. La stessa sentenza ha affermato la vessatorietà anche della clausola che prevedeva la fissazione di un termine pari o superiore a 60 giorni prima della scadenza per la disdetta da parte dell’assicurato. Va precisato che, in base alla normativa richiamata sopra, il giudice sanziona la nullità della clausola fermo restando la validità del contratto per le parti rimanenti del contratto assicurativo.

La trasparenza è cambiamento culturale
Il tema delle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori/assicurati è strettamente collegato alle norme che tutelano gli assicurati previste dal Codice delle assicurazioni e dalle numerose disposizioni sulla trasparenza e chiarezza dei contratti assicurativi che sono state emanate dall’autorità di controllo.
Ma se volgiamo lo sguardo oltre queste regole e consideriamo anche i principi cardine della disciplina Solvency II (direttiva 2009/138/Ce) che sono posti soprattutto a protezione degli interessi dei consumatori, e alla direttiva Idd, come è stato affermato più volte da qualificata dottrina (Maurizio Hazan, Assicurazioni private, Wolter Kluver), è indispensabile un cambiamento culturale profondo da parte delle imprese assicuratrici in materia di chiarezza e trasparenza contrattuale. Il che significa da una parte eliminare le clausole vessatorie e, dall’altra, semplificare il linguaggio contrattuale delle polizze per renderlo più chiaro, comprensibile e trasparente.Certamente, va dato atto alle compagnie che lo standard contrattuale delle polizze in termini di trasparenza contrattuale è senz’altro più elevato rispetto al passato. Ma non possiamo ignorare che per rendere effettivamente chiari e trasparenti i modelli contrattuali delle polizze, la strada da percorrere è ancora lunga. Insomma, se si vuole avvicinare sempre di più gli utenti al mondo assicurativo e cercare di eliminare quella diffidenza ancora molto diffusa nei confronti del settore, occorre intervenire sul linguaggio contrattuale rendendolo più trasparente.
È una sfida culturale che attende le imprese, questa, che alla luce della normativa vigente, non appare più procrastinabile.

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