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Clausole valide anche “a occhi chiusi”?

Un testo potenzialmente vessatorio, se illeggibile ma sottoscritto senza richiesta di chiarimenti, può ritenersi accettato: una sentenza della Cassazione riapre in questo modo sul rapporto tra parte debole e parte forte

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La Suprema Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 3307 del 12 febbraio 2018, si è pronunciata in ordine alla validità di quelle clausole vessatorie, inserite all’interno dei contratti sottoscritti mediante moduli o formulari, che risultino illeggibili poiché caratterizzate da una dimensione di carattere alquanto esigua. Un principio che andrebbe ad applicarsi a tutti quei contratti ove possa essere intravista una parte debole, contrapposta ad una forte, ivi inclusi, pertanto, i contratti assicurativi.
Andiamo con ordine: la Corte di legittimità ha statuito che le suddette clausole, seppur vessatorie, laddove siano state sottoscritte appositamente dal contrente ai sensi dell’art. 1341 C.C. non possano considerarsi invalide se in concreto illeggibili.
Difatti, la Corte ha statuito che “In materia di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti, la clausola con cui si stabilisce una deroga alla competenza territoriale ha natura vessatoria e deve essere, ai sensi dell’art. 1341 Cod. Civ., comma 2, approvata espressamente per iscritto. Qualora la medesima risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile; ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata della suddetta clausola derogatoria”.

Se si firma, si accetta l’incomprensibilità
Nel caso di specie, una società conveniva in giudizio una compagnia telefonica innanzi il tribunale di Livorno con la quale aveva stipulato un contratto di utenza per asseriti inadempimenti contrattuali. Nel caso di specie, il contratto stipulato conteneva una clausola di deroga della competenza per territorio (indicando come foro esclusivo quello di Milano), specificatamente sottoscritta ai sensi dell’art. 1341, 2° comma C.C., seppure le condizioni contrattuali fossero state “scritte con caratteri piccolissimi e quindi effettivamente quasi illeggibili”. In primo grado, il Tribunale rigettava l’eccezione di incompetenza sollevata dalla compagnia. In sede di gravame, la Corte d’Appello accoglieva invece tale eccezione di incompetenza, sovvertendo così la decisione di 1° grado.
Adita la Suprema Corte dalla società attorea, richiamando un precedente giurisprudenziale risalente nel tempo (Cass. 11/10/1973, n. 2562), ha affermato che la specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose previste dall’art. 1341 C.C. rende inammissibile la presunzione di una loro mancata conoscenza per l’asserito insufficiente rilievo tipografico o per la loro scarsa leggibilità.

Al contraente è richiesta diligenza
Si osserva, difatti, che in materia di competenza territoriale la vessatorietà della clausola si manifesta nel momento in cui la stessa viene inserita in contratti predisposti unilateralmente da uno solo dei contraenti (i cosiddetti contratti standard), a cui il cliente può aderire senza possibilità di negoziarne il contenuto.
Per tal motivo, le condizioni contrattuali devono ritenersi efficaci se, al momento della conclusione del negozio, il contraente debole le ha conosciute o le avrebbe dovute conoscere usando l’ordinaria diligenza in quanto “l’eventuale illeggibilità di una o più clausole vessatorie non esonera il contraente debole dall’onere di vigilare affinché non vengano apposte firme a occhi chiusi”.
Gli ermellini hanno quindi osservato che, laddove le modalità di richiamo delle clausole onerose operate nel contratto garantiscano l’attenzione del contraente verso le suddette clausole e il contraente le abbia sottoscritte appositamente, dette clausole non possono non considerarsi valide.
Inoltre, l’evidente illeggibilità non esonera il contraente dall’apprestare in sede di stipula contrattuale le dovute attenzioni, essendo richiesta in tal caso un’ordinaria diligenza. È stato, inoltre, ribadito il diritto del contraente debole di esigere dalla controparte una copia del modello contrattuale pienamente leggibile, rimanendo per lui invece preclusa la possibilità di dolersi in sede giudiziale di non aver avuto effettiva conoscenza del contenuto sottoscritto.

Una contraddizione con la lettera al mercato? 
Alla luce della sentenza in questione, sembra così andarsi a consolidare la precedente giurisprudenza per cui si potrebbe giungere a considerare legittime tutte quelle clausole vessatorie che, seppur sul filo della leggibilità, siano state comunque appositamente sottoscritte dal contraente debole. Tuttavia, se si può ritenere comprensibile la legittimità delle clausole scritte in caratteri piccoli, qualche dubbio solleva la parificazione di questa ipotesi a quella, ben diversa, di una fotocopia illeggibile. Infatti, in questo ultimo caso, dovrebbe pur sempre considerarsi il dovere di buona fede che incombe sulle parti sin dalle fasi precontrattuali (e, dunque, nel momento della consegna dei moduli contrattuali alla controparte).
Del resto, il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte appare in netto contrasto con la Lettera al mercato di Ivass dello scorso 14 marzo 2018 che ha sollecitato le imprese di assicurazione ad aderire alle linee guida di Ania inerenti alla struttura e al linguaggio dei contratti assicurativi, evidenziando la necessità di una semplificazione dei testi contrattuali delle polizze. Tali linee guida prevedono una struttura contrattuale più lineare e chiara e intervengono, tra le altre cose, anche sulla chiarezza del linguaggio, specificando la necessità di dare finanche particolare rilievo grafico a quelle clausole contrattuali che incidono sull’esercizio dei diritti dell’assicurato derivanti dal contratto.
In conclusione, seppur rispettosi della Suprema Corte, il principio della Cassazione va preso cum grano salis.

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