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Responsabilità dell’avvocato ed efficacia temporale della copertura assicurativa

Seconda Parte - L’obbligo di Rc è a tutela del cliente

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Aspetto rilevante costituisce, altresì, il dovere di informazione che il professionista legale deve ottemperare, adottando una condotta scrupolosa che passi anche attraverso il munirsi di un’adeguata e puntuale informativa scritta nei rapporti con il cliente.
Il dovere di diligenza caratterizzante l’esecuzione del contratto d’opera professionale implica per l’avvocato l’onere di assolvere ai doveri di sollecitazione, dissuasione e informazione del cliente, ai quali il legale deve ottemperare rappresentando al proprio assistito “tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi” e sconsigliandolo “dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole” (Cass. n. 6782/2015; cfr., inoltre, Cass. n. 14597/2004).

Informare anche il cliente competente

Con riferimento al dovere di informazione si rammenta, altresì, che “incombe sul professionista l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, e che al riguardo non è sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello ius postulandi, trattandosi di elemento che non è idoneo a dimostrare l’assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio”.
Ciò premesso, è d’uopo evidenziare “che l’attività di persuasione del cliente al compimento o non di un atto, ulteriore rispetto all’assolvimento dell’obbligo informativo, è concretamente inesigibile, oltre che contrastante con il principio secondo cui l’obbligazione informativa dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato” (Cass. n. 7708/2016).
Né può essere fatta valere in giudizio, ai fini del venir meno della responsabilità professionale dell’avvocato e del ritenere la condotta da questi tenuta immune da addebiti, il fatto che il cliente del professionista ora menzionato fosse egli stesso un avvocato, ovvero avesse specifiche competenze in ambito legale, ovvero avesse fornito dei consigli al legale mandatario in conformità dei quali questi aveva poi agito. Sulla questione rileva quanto ribadito dalla Corte di Cassazione in materia di responsabilità colposa dell’avvocato, ricordando che “la responsabilità professionale dell’avvocato non viene meno per il fatto che il cliente sia dotato, per scienza personale o per ragioni di lavoro, di un certo bagaglio di conoscenze giuridiche (...); ciò in quanto l’incarico professionale, una volta conferito, investe l’avvocato della piena responsabilità della sua gestione, senza che possa attribuirsi alcuna forma di corresponsabilità a carico del cliente” (Cass. n. 10527/2015).

La responsabilità sui mezzi è solo del legale
E ancora, “questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare (con sent. 18 maggio 1988 n. 3463, che si condivide e qui si conferma) che la responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di quella diligenza media esigibile a norma dell’art. 1176 co. 2 c.c., la quale violazione, ove consista nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l’adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale” (Cass. n. 20869/2004).

L’obbligo della Rc professionale
Tale premessa in ordine all’evoluzione giurisprudenziale in materia di responsabilità civile dell’avvocato risulta, a parere di chi scrive, prodromica alla comprensione di quanto introdotto dall’art. 12 della legge n. 247, 31 dicembre 2012, ossia l’assicurazione obbligatoria per gli avvocati, il cui contenuto è stato delineato e reso attuale dal decreto del ministero della Giustizia del 22 settembre 2016, rubricato Condizioni essenziali e massimali minimi delle polizze assicurative a copertura della responsabilità civile e degli infortuni derivanti dall’esercizio della professione di avvocato), pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 ottobre 2016, il quale ha previsto che entro un anno dalla pubblicazione dello stesso, tutti gli esercenti la professione legale si uniformassero a tale diktat normativo, stipulando contratti assicurativi dal contenuto aderente alle disposizioni ivi contenute (dal d.m. 10 ottobre 2017 è stata prevista una proroga di 30 giorni, al fine di consentire che a far data dall’11 novembre 2017 tutti i professionisti dispongano di copertura assicurativa per sé, per i collaboratori e i praticanti). La suddetta normativa si pone quale lex specialis rispetto a quella dell’art. 3, comma 5, lett. e), d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito nella legge n. 148, 14 settembre 2011) avente sempre a oggetto l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile dei professionisti iscritti a un ordine professionale, con la previsione di un differente termine di entrata in vigore (13 agosto 2013).

Claims made: una richiesta dell’ordine forense
Portata innovativa è da riconoscere all’art. 2 del d.m. 22 settembre 2016, avente a oggetto la previsione di una clausola claims made pura nei contratti assicurativi stipulati dagli avvocati, clausola che assurge a elemento tipico del contratto, in quanto espressamente prevista dalla norma, pur con i correttivi, estesi anche a favore degli eredi dell’avvocato, della retroattività illimitata e della copertura postuma decennale, in caso di cessazione dell’attività professionale nel periodo di vigenza della polizza assicurativa, escludendo la possibilità di recesso dell’assicuratore a seguito di sinistro nel corso di durata del periodo medesimo.
Tali correttivi si pongono in coerenza con quanto auspicato dal Consiglio nazionale forense a seguito dell’introduzione della norma di riforma della professione forense mediante una circolare (28 gennaio 2013, n. 23) nella quale detto Consiglio aveva suggerito, tra i vari punti essenziali della copertura obbligatoria, che fosse ritenuto funzionale alla tutela del cliente il poter contare nel caso di responsabilità professionale sulla solvibilità dell’avvocato avendo “la certezza che l’assicurazione sarà valida e operante nel momento in cui se ne dovesse ravvisare il bisogno (ovvero si dovessero ‘manifestare’ i danni) anche se questo momento si manifesta successivamente all’atto originatore del sinistro e anche qualora l’Avvocato non eserciti più la professione forense per cessazione definitiva”.
La volontà di includere la copertura dell’attività professionale dell’avvocato tra le assicurazioni obbligatorie è la risposta del legislatore alla tendenza a estendere l’ambito di protezione dei consociati, con una ridistribuzione del rischio con riferimento a quelle attività che, per la rilevanza dei diritti coinvolti, incidono su interessi ritenuti meritevoli di particolari livelli di tutela, facendo sì che il cliente di un professionista forense, in caso di responsabilità di quest’ultimo, sia assistito da concreta tutela per il vulnus cagionato al proprio mandante, stante, altresì, l’espansione dell’area del rischio a cui è soggetto l’avvocato, in virtù delle incombenze di ordine pratico (si pensi al deposito telematico), nonché delle competenze stragiudiziali di tipo deflattivo del contenzioso giudiziario e/o di situazioni di crisi economico – finanziaria.

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