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Claims made: l’ente non è il consumatore

Una sentenza del tribunale di Napoli si inserisce nel confronto seguito alle sentenze della Corte di Cassazione in merito alla vessatorietà della discussa clausola legata ai tempi di presentazione del sinistro. Nel caso in esame, il Codice del Consumatore non è ritenuto valido per un’impresa sanitaria

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Neanche il tempo di dolerci dei possibili effetti detonanti delle due decisioni gemelle rese dalla suprema Corte di Cassazione lo scorso 28 aprile (n. 10506 e 10509, estensore dott. Rossetti, cfr. n. 1127 di questo giornale) che veniamo colpiti, e per certi aspetti rinfrancati, dalla bella sentenza resa, pochi giorni dopo la pubblicazione delle dette decisioni, dal tribunale di Napoli. In una complessa vicenda di responsabilità sanitaria, il giudice, in esito a un’indagine istruttoria che ha portato alla condanna dell’azienda ospedaliera sanitaria, affronta con ampiezza argomentativa la complessa tematica della validità della clausola claims made rispetto alle eccezioni di illegittimità e di  immeritevolezza avanzate dell’azienda ospedaliera nei confronti della corrispondente eccezione di inoperatività della garanzia.

Una tempistica coerente
Nel caso specifico, la polizza conclusa dalla struttura sanitaria pubblica convenuta con la compagnia assicuratrice chiamata in causa era valevole per il periodo intercorrente tra il 30 giugno 2008 e il 30 giugno 2011 e chiariva espressamente come l’assicurazione valesse per i sinistri (intesi alla stregua di richieste di risarcimenti rivolte alla struttura sanitaria assicurata) verificatisi nel corso della durata del contratto, purché scaturenti da eventi, errori od omissioni accaduti o commessi non prima del 30 agosto 2002, a condizione che la medesima struttura sanitaria ne desse regolare avviso all’impresa assicuratrice nel corso del periodo di durata della polizza.Risultava altresì pacifico in giudizio che la prima richiesta risarcitoria avanzata dagli attori alla struttura sanitaria convenuta era quella contenuta nell’atto di citazione introduttivo dello stesso giudizio, notificato il 4 giugno 2013, e quindi in epoche in cui l’efficacia temporale della polizza assicurativa era già abbondantemente cessata.
La vicenda è dunque totalmente sovrapponibile nei fatti a quella che è stata oggetto di valutazione nelle due sentenze gemelle sopra richiamate e sfociate, con approdo opposto, nelle decisioni rese lo scorso 28 aprile dalla suprema Corte di Cassazione. Quello che denota la sentenza qui evidenziata è che il giudice, dopo un corretto e argomentato disquisire circa le questioni complesse demandate all’accertamento della validità della clausola in questione, e richiamato così l’ampio dibattito giurisprudenziale sfociato nella decisione nomofilattica del 6 maggio 2016 (numero 9140), ha concluso per la piena meritevolezza della clausola in argomento che prevedeva una retroattività di circa sei anni.
Il tutto, nonostante la prima richiesta risarcitoria fosse pervenuta dopo la cessazione della polizza, ritenendo contestualmente legittimo e corretto il contratto che non prevedesse in questo contesto una postuma.

Vive la libertà dell’accordo
Si legge, nel passaggio centrale di questa decisione che “nella specie, dunque, esclusa – alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale appena richiamato – la vessatorietà della clausola di cui si tratta ed esclusa altresì la possibilità di applicazione della disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (cd. Codice del Consumo) in ragione del fatto che la struttura sanitaria pubblica convenuta nella conclusione della polizza con la società assicuratrice chiamata in causa ha senz’altro agito non già quale consumatore, ma piuttosto quale soggetto esercente un’attività professionale di tipo sanitario, deve parimenti escludersi la sussistenza, con riguardo alla clausola in esame, della possibilità di un sindacato negativo in termini di meritevolezza, atteso che la clausola era, con tutta evidenza, destinata ad operare anche con riferimento alle richieste risarcitorie avanzate, nel corso del periodo di validità della stessa, a fronte di comportamenti dell’assicurato antecedenti alla stipulazione, cosicché, ferma restando la limitazione dell’oggetto della polizza agli eventi, errori od omissioni accaduti o commessi non prima del 30 agosto 2002 (con una retroattività, dunque, di circa sei anni rispetto all’epoca di conclusione della polizza), non è possibile ravvisare alcuna mancanza di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo”.
Di questa decisione ci piace anche l’accenno, appena riferito, alla necessità che il giudice di merito comunque, nel compiere il sindacato di legittimità della clausola, tenga anche conto del fondamentale principio che regola la libertà delle negoziazioni commerciali e che attiene al vincolo di corrispettività tra pagamento del premio e diritto all’indennizzo, nel caso specifico delle polizze assicurative.
Ancor più positiva ci è parsa, infine, la chiosa conclusiva della sentenza qui riferita che, preso atto proprio della decisione numero 10.506 emessa pochi giorni prima dalla suprema Corte di Cassazione della quale si è detto, la ha pur integralmente disattesa in quanto avente a oggetto una clausola del tutto diversa da quella in esame, in ragione di una ampiezza del sindacato di meritevolezza che attenga anche a profili più confacenti alla sinallagmaticità del contratto, invero mai accennati ed anzi ignorati, nelle due decisioni gemelle della suprema Corte di Cassazione di cui si è criticato l’impianto motivo.


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