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Come si definisce un reato di stalking

In assenza di prove concrete che stabiliscano l’azione come realmente lesiva e di fronte alla soggettività delle reazioni alle azioni persecutorie, il giudice deve valutare la presenza di un chiaro nesso tra atto reiterato e stato di turbamento della vittima

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La Corte Costituzionale, in una recente sentenza (n.172 dell'11 giugno 2014), si è espressa sulla natura e sul grado di offensività sociale di uno dei reati più odiosi del nostro vivere moderno: il così detto stalking, ovvero le attività persecutorie e condizionanti la libertà soggettiva dell'individuo.
Il tema si era posto perché il Tribunale di Alcamo, con ordinanza in data 24 giugno 2013, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 612-bis del codice penale, per violazione dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
L'articolo in questione dispone che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

Il rischio di una percezione soggettiva

L'estensore della ordinanza di rinvio riteneva che la norma violasse il principio penalistico di necessaria determinatezza della condotta lesiva e penalmente rilevante (art. 25 Cost.), posto che non verrebbe, nell'articolo in questione, "sufficientemente determinato il minimum della condotta intrusiva temporalmente necessaria e sufficiente affinché possa dirsi integrata la persecuzione penalmente rilevante".
Anche incerta sarebbe, a detta del rimettente, la situazione soggettiva generata in capo alla vittima e qualificata semplicemente come perdurante e grave stato di ansia o di paura, così come in alcun modo definiti sarebbero i criteri per stabilire quando il timore debba considerarsi fondato.
Nel respingere la censura di illegittimità costituzionale della norma, la Corte precisa quindi gli ambiti tipici della fattispecie di reato, e le sue conseguenze in ordine allo stato psicofisico della vittima dell'azione illecita.
Quanto al primo profilo, la Corte rammenta che il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., viene anzitutto in rilievo per la reiterazione di condotte minacciose o moleste, idonee alternativamente a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

È necessaria la verifica di reiterazione
Il concetto di «reiterazione», utilizzato nella norma incriminatrice, chiarisce in modo preciso che sono necessarie almeno due condotte di minacce o molestia. Ciò, tuttavia, non è sufficiente, in quanto le medesime devono anche essere idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, mentre non è sufficiente il semplice verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma penale, né basta l'astratta idoneità della condotta a cagionarlo, occorrendo invece dimostrare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall'agente e i turbamenti derivati alla vita privata della vittima.
Così, sotto l'aspetto delle conseguenze dell'azione illecita nella sfera soggettiva della vittima, la Corte aggiunge che quanto al perdurante e grave stato di ansia e di paura e al fondato timore per l'incolumità, trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima.
L'aggettivazione, inoltre, in termini di grave e perdurante stato di ansia o di paura e di fondato timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordi ne alla loro durata, sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima.
Infine, il riferimento del legislatore alle abitudini di vita, costituisce un chiaro e verificabile rinvio al complesso dei comportamenti che una persona solitamente mantiene nell'ambito familiare, sociale e lavorativo, e che la vittima è costretta a mutare a seguito dell'intrusione rappresentata dall'attività persecutoria.
In conclusione, la sentenza in argomento consente di inquadrare sia il profilo della condotta illecita dell'autore del reato, sia l'aspetto della invasività della azione di stalking nel contesto soggettivo ed endofamiliare della vittima.
La privacy, la riservatezza e la serenità dell'esistenza divengono nel nostro mondo moderno, così esposto a fattori di interferenza non sempre controllabili e prevenibili (specie con l'utilizzo di strumenti moderni e solo pochi anni fa non ipotizzabili per l'impatto di invasività nel privato, basti pensare ai social network), un bene primario sempre più degno di tutela da parte dell'ordinamento.
Il venir meno di tali beni determina una conseguenza di danno esistenziale per lesione di uno dei diritti primari della persona tutelati dalla nostra Costituzione: la persona, la sua riservatezza: in una parola, il suo esistere.

Filippo Martini, Studio legale Mrv

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