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Il risarcimento è ridotto se c’è concorso di colpa

Esporsi in maniera più o meno consapevole al rischio di subire un danno da parte di terzi è una responsabilità personale, e come tale può influire nella valutazione del risarcimento da responsabilità civile

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Il tema che vogliamo affrontare pensiamo sia un argomento di importante rilievo giuridico, ma anche un elemento che regola la convivenza civile della nostra comunità sociale.

Nella disciplina giuridica e nella casistica giurisprudenziale della responsabilità civile da fatto illecito (che obbliga l’autore del danno a risarcirlo, ex art. 2043 C.C.), vige la regola secondo cui anche la vittima che subisce il danno deve dimostrare di avere tenuto, nella circostanza, una condotta immune da colpe, e di non avere con il proprio comportamento aggravato la portata dei danni stessi, pur provocati dal responsabile.
È quanto prevede la regola contenuta nell’art. 1227 del Codice Civile.

Così, ad esempio, l’esposizione volontaria a un rischio o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea a integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento. Ciò proprio ai sensi dell’art. 1227, co. 1, C.C.

LA CINTURA: UNA DOPPIA SICUREZZA
È questo il caso di una sentenza della Cassazione (26 maggio 2014 n° 11698) che ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero a una gara automobilistica clandestina, assumendo quindi, salendo a bordo del veicolo, il rischio che la macchina potesse avere un incidente determinato non tanto dalla imprudenza del conducente, ma proprio dalla dinamica competitiva della gara vietata dalla legge.

I casi di applicazione di questa norma e del possibile concorso di colpa del danneggiato sono in effetti molteplici.

Una tipica ipotesi è quella che ha portato, ad esempio, alla decisione della Corte (Cassazione, sentenza 11 marzo 2004, n. 4993) che ha affermato come l’omesso uso delle cinture di sicurezza da parte del soggetto trasportato che abbia subito lesioni a seguito di un sinistro stradale, costituisce comportamento colposo del danneggiato nella causazione del danno, rilevante ai sensi dell’art. 1227, 1° comma, C.C., e che dunque sia legittima la riduzione del risarcimento ove si alleghi e si dimostri che il corretto uso dei sistemi di ritenzione avrebbe ridotto (o addirittura eliso) il danno.

Sempre su questo tema, spesso la Corte di Cassazione è stata chiamata a esprimersi circa il concorso di colpa del danneggiato che abbia omesso l’uso della cintura di sicurezza, riducendo, in proporzione al ritenuto concorso causale, il relativo risarcimento per le lesioni fisiche subite (così, a esempio, più di recente, Cassazione 3 aprile 2014, n. 7777 ove è stata ritenuta la prova del fatto che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare i danni dei quali chiede il risarcimento; oppure la sentenza 23 ottobre 2014, n. 22514 che ha ammesso la riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entità percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato che abbia omesso l’uso dei sistemi di protezione obbligatori).

NON AFFIDARSI AL CONDUCENTE INCAPACE
Un’altra casistica che, purtroppo, riempie spesso le pagine dei nostri quotidiani, è quella legata agli incidenti automobilistici causati dal conducente che si metta alla guida in stato psicofisico alterato da sostanze alcoliche o da stupefacenti.

In questo caso, certa la colpa e l’obbligo di risarcire il danno ai trasportati, in alcune circostanze particolarmente gravi la giurisprudenza ritiene che anche il passeggero, che abbia accettato il rischio di un trasporto in un contesto di evidente incapacità del conducente, non possa andare esente da colpa.

Si veda il caso (deciso dalla Corte di Appello di Milano nella sentenza del 2 luglio 2013 n. 2691) nella quale è stato affermato che in un’ipotesi in cui “la Polizia Stradale ebbe a elevare contravvenzione a carico del M. per aver violato le disposizioni di cui agli artt. 186 e 187 del C.d.S. (Guida sotto l’influenza dell’alcool – 2,20 gr/l - e Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti – cannabinoidi e anfetamine)”, vada altresì affermata “la condotta gravemente imprudente (e quindi colposa) dello stesso trasportato S.T. che, visto lo stato psicofisico del sig. M. M. pesantemente alterato dagli effetti dell’alcool e delle sostanze stupefacenti, ha egualmente accettato il rischio di viaggiare su di una vettura dallo stesso condotta”.

Infatti, “all’incremento del tasso (alcolemico) segue indefettibilmente un aumento di pericolosità nella condotta di guida conseguente all’incremento dell’alterazione psicofisica, incremento che comporta anche una più facile e immediata apprezzabilità dell’alterazione da parte di tutti quei soggetti che con il soggetto vengono in contatto”. La conclusione (in applicazione del principio qui rammentato) è che “le lesioni nell’occasione riportate dal S. sono il frutto di un perverso concorso di elementi di colpa: quella sua propria, consistente nell’essersi posto in una situazione di oggettivo pericolo salendo a bordo della vettura condotta dal M, e quella propria del M., che volontariamente si era messo in condizione di grave alterazione psicofisica”.

In un’estrema analisi, si può dire che la norma che regola il concorso colposo della stessa vittima di un illecito altrui, risponde alla regola di convivenza sociale stabilita dallo stesso articolo 2 della nostra Carta Costituzionale, che introduce un principio di solidarietà e di oneri (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, tracciando l’obbligo di ogni cittadino di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti, sia che commetta un illecito, sia che per imprudenza e negligenza si esponga al rischio consapevolmente.




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