Accesso agli atti nell’Rca: funzione informativa e assistenza tecnica nell’indennizzo diretto
La nuova ordinanza della Cassazione, come si evince in questo commento dello studio Thmr, mette ordine a prassi applicative e letture alternative che rischiano di creare false aspettative nei danneggiati, che potrebbero aspettarsi, a torto, un’attività istruttoria in proprio favore
17/06/2025
Con l’ordinanza n. 12605 del 12 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha preso posizione sulla disciplina dell’accesso agli atti in materia di Rc auto, individuandone i limiti e definendone il perimetro applicativo.
Per quanto da più parti tale pronuncia sia stata considerata come una specie di manifesto di tutto quel che si deve sapere sull’applicazione dell’articolo 146 del Codice delle assicurazioni private (Cap, oppure cod. ass. nel testo dell’ordinanza), l’ordinanza in questione si distingue soprattutto per quanto ha acutamente osservato a proposito degli obblighi di informativa gravanti sull’assicuratore nella procedura speciale dell’indennizzo diretto ex articolo 149 (riportando al centro dell’attenzione una disposizione spesso trascurata: l’art. 9, comma 1, del dpr 254/2006).
Il caso sottoposto alla Suprema Corte riguardava la singolare pretesa di un danneggiato di ottenere dalla compagnia assicurativa del responsabile civile l’esecuzione di una perizia, supplementare e di riscontro, su un altro veicolo coinvolto nel sinistro (con la finalità di sostenere e confermare la propria ricostruzione della dinamica del sinistro e delle correlate responsabilità e, conseguentemente, favorire la pronta liquidazione del danno).
Una trasformazione del diritto
Tale pretesa era stata formulata in occasione di una richiesta di accesso agli atti a seguito della quale il danneggiato, non avendo reperito tale perizia di riscontro, ne invocava l’esecuzione, promuovendo addirittura una domanda giudiziale al fine di sentir condannare la compagnia all’adempimento coattivo dell’incombente. Tale pretesa veniva accolta dai giudici del merito e in particolare dal tribunale di Taranto che, in veste di giudice d’appello, aveva sostenuto che la compagnia avrebbe dovuto integrare la propria documentazione istruttoria (anche ai fini della successiva esibizione in fase di accesso) con tutte le perizie eventualmente necessarie per pervenire a una corretta ricostruzione del sinistro e a una tempestiva liquidazione del danno.
Così facendo il tribunale finiva di fatto per trasformare il diritto di accesso (ad atti già compiuti e documenti già formati) nel diverso diritto di pretendere lo svolgimento di eventuali ulteriori attività istruttorie che il danneggiato riteneva necessarie ai fini di una adeguata gestione del caso. Nel caso di specie, addirittura, il giudice del merito aveva condannato la compagnia a esibire al danneggiato una perizia di riscontro che, al momento della richiesta di accesso agli atti, non era stata neppure effettuata: il che si traduceva in concreto nell’addossamento all’impresa assicuratrice di un obbligo di perizia, in vista della sua esibizione, privo di qualsiasi fondamento normativo (obbligo il cui inadempimento veniva per di più gravato dalla minaccia di una sanzione economica, ai sensi dell’articolo 614 bis del Codice di procedura civile).
Accesso a documenti già presenti nel fascicolo
Si trattava, all’evidenza, di una decisione macroscopicamente errata e basata su un’interpretazione mistificatoria della disciplina dell’accesso agli atti prevista dall’articolo 146 del Codice delle assicurazioni.
Per tale ragione, la Corte di Cassazione interviene prontamente per rimettere le cose a posto e precisare in modo chiaro cosa possa essere effettivamente richiesto alla compagnia (dal danneggiato, dal contraente o dall’assicurato) ai sensi per gli effetti del citato articolo 146. E lo fa senza particolare (e comunque non richiesta) originalità, badando a ricostruire con esattezza la disciplina primaria e regolamentare dell’accesso agli atti. L’ordinanza in commento precisa dunque che: “nel regime generale ex art. 144 cod. ass., (…) il diritto di accesso del danneggiato, disciplinato dall’art. 146 cod. ass. e dall’art. 2 dm 191/2008, non può che avere a oggetto tutti e soltanto quegli atti che siano già presenti nel fascicolo del sinistro, e dunque gli atti istruttori che la compagnia abbia già esperito e abbia ritenuto sufficiente esperire al fine di accogliere ovvero di denegare, in sede stragiudiziale, l’indennizzo al danneggiato”. Sin qui nulla di particolarmente nuovo: l’accesso agli atti era, è, e rimarrà un diritto funzionale a consentire una verifica delle attività svolte dalla compagnia in vista della liquidazione di un danno da Rc auto, con l’evidente finalità di consentire all’avente diritto di poter condividere o meno il processo istruttorio attraverso il quale la compagnia è giunta alla propria offerta o al proprio diniego motivato di risarcimento. In nessun caso, invero, l’articolo 146 del Cap e il dm 191/2008 prevedono la possibilità di snaturare la richiesta di accesso con la pretesa di formare nuovi documenti e di svolgere attività istruttorie che la compagnia non ha alcun obbligo di compiere; tantomeno ai fini di una successiva esibizione al danneggiato.
L’elemento di novità
Ciò detto, la Suprema Corte prosegue nel proprio ragionamento spostando completamente il piano dell’analisi, diversificando le proprie considerazioni a seconda che la questione sia affrontata nell’ambito di una procedura ordinaria, ai sensi dell’articolo 148 del Cap, o nel corso dell’indennizzo diretto di cui all’articolo 149.
Qui risiede l’autentico elemento di novità dell’ordinanza in commento, che riporta al centro della scena la particolare previsione dell’articolo 9 del dpr 254 del 2006. Una norma spesso trascurata e, nei fatti, poco applicata, nonostante la sua centralità. La disciplina dell’indennizzo diretto prevede che, in caso di sinistro stradale di cui non si è responsabili o di cui si è responsabili solo in parte, e laddove ricorrano ulteriori e determinate condizioni, il danneggiato possa rivolgere la richiesta di risarcimento direttamente alla propria compagnia assicurativa, che gestisce ed eventualmente liquida il sinistro, ferma la successiva regolazione de rapporti con la compagnia assicurativa del responsabile civile, della quale è mandataria. L’art. 9, in questo contesto, pone a carico della compagnia degli importanti obblighi di attivazione e un vero e proprio dovere di assistenza tecnica, finalizzata alla piena realizzazione del diritto al risarcimento.
L’impresa assume quindi nei confronti del danneggiato un ruolo ben più incisivo, svolgendo, come rilevato dalla Corte, una funzione assimilabile a quella di un consulente di parte e, in tale veste, è gravata da obblighi di assistenza tecnica e informativa tali da rendere edotto il danneggiato su tutte le caratteristiche dell’obbligazione risarcitoria e su tutti gli sviluppi dell’iter istruttorio liquidativo.
Le prassi nell’indennizzo diretto
È opportuno sottolineare come la norma in questione caratterizzi effettivamente la procedura di indennizzo diretto, incidendo, almeno nelle intenzioni del legislatore, sulle dinamiche della liquidazione all’interno del rapporto fiduciario-contrattuale che, proprio per la sua natura, dovrebbe favorire la cooperazione tra le parti, ridurre la conflittualità e contenere i costi, nell’ottica di garantire una liquidazione più rapida, corretta e trasparente.
Tuttavia, va osservato come, nella prassi applicativa, tale previsione sia rimasta spesso disattesa: le imprese assicuratrici hanno tendenzialmente adottato logiche liquidative analoghe tanto nel regime ordinario quanto in quello dell’indennizzo diretto, finendo per attenuare l’effettiva portata innovativa del dettato normativo. Pur avendo semplificato alcuni passaggi procedurali e, in taluni casi, agevolato il dialogo, l’adempimento dei doveri di assistenza tecnica e informativa, così come delineati dall’art. 9 del dpr 254/2006, è rimasto sovente sotto traccia; così come non sembra aver avuto davvero seguito l’idea, pure alla base del sistema, che l’assenza di conflittualità dovrebbe rendere superfluo il ricorso alla difesa tecnica e dunque giustificare l’esclusione del rimborso delle spese legali (spese che, nei fatti, sono sistematicamente liquidate a favore dei professionisti eventualmente intervenuti nella gestione della fase stragiudiziale).
Ed è proprio in questo contesto che la Cassazione riporta in auge, con forza rinnovata, la centralità dell’art. 9 del dpr 254/2006, richiamando le imprese al rispetto degli obblighi di informazione e assistenza che da esso discendono. Ma nel far ciò, la Suprema Corte sembra individuare una particolare modalità di accesso agli atti, di più ampio respiro, che riguarderebbe proprio la procedura di indennizzo diretto. Il che, a nostro parere, non pare condivisibile.
Un richiamo alla proattività delle compagnie
Se è vero che nell’ambito di quella procedura il danneggiato deve poter contare sulla tempestiva e piena informazione da parte della compagnia circa la gestione della liquidazione e aver diritto a un’assistenza tecnica tale da consentirgli la miglior realizzazione del diritto risarcitorio, non è altrettanto vero che l’art. 146 del Cap debba essere letto in termini diversi e più estesi quando si tratta di indennizzo diretto.
L’informativa dovrebbe provenire dalla compagnia anche in assenza di una specifica richiesta da parte dell’assicurato: l’art. 9 non introduce una diversa categoria di accesso agli atti (il riferimento resta quello dell’art. 146) ma incide sul presupposto stesso del bisogno di accesso. Se la compagnia rispettasse compiutamente la disposizione, fornendo tempestivamente e in modo trasparente tutte le informazioni rilevanti sull’iter istruttorio, il ricorso all’accesso formale verrebbe, in larga parte, reso superfluo, relegandone la funzione all’eventuale verifica del corretto adempimento degli obblighi di assistenza stragiudiziale a cui l’impresa gestionaria è chiamata.
In questa prospettiva, il danneggiato non è chiamato a sollecitare l’attività istruttoria: è l’assicuratore, per obbligo normativo, a dover gestire il procedimento in modo proattivo, curandone ogni passaggio, illustrandolo con chiarezza e rendendolo conoscibile all’assicurato, nell’ottica di una piena cooperazione e di una gestione trasparente del sinistro.
Una volta chiarite le direttrici che dovrebbero orientare la procedura, la Corte in chiusura osserva che solo nell’ambito della procedura di indennizzo diretto ex art. 149 del Cap una richiesta istruttoria ulteriore, come quella di una perizia aggiuntiva, avrebbe potuto essere accolta, ove giustificata.
La trasparenza del procedimento
Diversamente, nel regime ordinario, una simile pretesa non trova spazio: riconoscerla significherebbe travalicare il confine tracciato dal legislatore tra collaborazione e autonomia istruttoria dell’assicuratore.
In questo senso, è importante sottolineare come la Corte non escluda affatto la possibilità per il danneggiato di contestare l’operato della compagnia laddove ritenga che l’attività svolta sia stata carente o inadeguata. Ma il rimedio, chiarisce la pronuncia, non risiede nell’ampliamento del diritto di accesso, bensì nell’attivazione di strumenti ordinari di tutela giudiziaria, che consentano di verificare, in sede contenziosa (o sotto il profilo amministrativo, mediante il reclamo all’istituto di vigilanza, in caso di diniego o severa limitazione dell’accesso) la fondatezza della pretesa risarcitoria e la correttezza dell’istruttoria condotta. In altre parole, se la compagnia liquida (o nega) il danno senza aver compiuto quanto doveroso secondo correttezza e buona fede, il rimedio non è pretendere nuovi atti, ma contestarne l’operato.
L’ordinanza mette ordine in una materia dove le aspettative del danneggiato, spesso alimentate da prassi applicative e letture estensive, rischiano di traslare la funzione del diritto di accesso da strumento di mera conoscenza a veicolo per ottenere un’attività istruttoria in proprio favore, alterandone la ratio. Il principio di diritto enunciato tende invece a ricondurre l’accesso alla sua funzione fisiologica: quella di consentire la trasparenza del procedimento già svolto, non di incidere sulla sua conduzione. Parallelamente, richiamata la marcata differenza con il regime speciale di cui all’art. 149 del Cap e la centralità dell’art. 9 del dpr 254/2006, richiama le imprese al rispetto degli obblighi di informazione e assistenza tecnica che assumono, in questa luce, significati decisamente più pregnanti di quelli che nella prassi sono stati loro accordati.
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