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I limiti della libertà negoziale

Con la sentenza 9616 della Corte di Cassazione i giudici ribadiscono che l’autonomia contrattuale deve comunque essere applicata nei termini della buona fede e della piena conformità ai principi giuridici. In caso di ricorso al meccanismo di sostituzione automatica, è necessario indicare la clausola sostitutiva tra quelle previste dalla normativa

I limiti della libertà negoziale hp_vert_img
La suprema Corte di Cassazione con una importante decisione (9616 dell’11 marzo 2023) torna sulla delicata questione relativa alla validità delle clausole assicurative così dette claims made che, ormai stabilmente integrate all’interno dei contratti di assicurazione della responsabilità professionale, costituiscono un modello assicurativo tipico, tale da correlare l’operatività della garanzia non al fatto generatore della responsabilità ma alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato. Si tratta di clausole che in determinati casi sono volute dal legislatore, come nel caso delle polizze della responsabilità sanitaria, il cui regime di operatività temporale è specificamente stabilito dall’articolo 11 della legge 24/2017. In altri sono frutto della libertà negoziale delle parti, che possono, ad esempio, estendere o restringere il periodo di efficacia temporale della garanzia, con conseguenti ricadute sul prezzo di polizza. È in questi casi che, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite nel 2018 (22437), si pone la necessità di comprendere se il contenuto della clausola sia lecito, rispetti gli interessi concretamente perseguiti dalle parti. Il tutto avendo cura anche di verificare il rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza nella fase di collocamento del prodotto assicurativo. 

UNA RETROATTIVITÀ INSUFFICIENTE ALLE ESIGENZE
Con la sentenza dello scorso marzo, la Cassazione, pur dando continuità ai principi espressi dalle Sezioni Unite, svolge alcune importanti precisazioni.
La vicenda riguardava la ritenuta nullità di una clausola che regolava il regime temporale di una polizza contratta da un commercialista, chiamato a rispondere delle conseguenze patrimoniali per l’errata redazione di alcune dichiarazioni fiscali che avevano portato a elevare sanzioni amministrative a carico dei propri clienti da parte della Agenzia delle entrate.
La clausola in questione, regolata proprio sullo schema on claims made basis, limitava la copertura assicurativa alle richieste danni pervenute al professionista per fatti compiuti nei soli due anni precedenti la stipula della polizza. Il giudice di merito, tenuto conto delle caratteristiche dei sinistri tipici della responsabilità professionale (che possono dar luogo a richieste risarcitorie anche a distanza di svariati anni dalla commissione dell’errore) ha ritenuto tale limite biennale troppo stretto, poco garantistico per l’assicurato e, dunque, inadeguato allo scopo pratico del contratto. Aveva dunque dichiarato la nullità parziale della polizza e sostituito il regime temporale previsto dalla clausola claims (nulla) con una retroattività decennale, corrispondente alla più ampia prescrizione (dieci anni) del diritto del terzo al risarcimento del danno. 
La compagnia assicurativa ricorreva contro tale decisione avanti ai giudici di legittimità, lamentando che il giudice di merito, ritenuta la nullità parziale della clausola claims made, ne avrebbe sostituito il regime negoziale in assenza di norme imperative che imponessero tale operazione, con ciò arbitrariamente trasformando il contratto rispetto alle intese che le parti avevano originariamente raggiunto nella loro piena autonomia negoziale (e dunque estendendo di ben otto anni il periodo di retroattività previsto dal legislatore).

ASSICURARE L’EFFICACIA DELLA RC PROFESSIONALE 
Nel prendere posizione su tale censura, la Cassazione ricorda anzitutto che la libertà negoziale delle parti non è assoluta e illimitata ma deve essere esercitata nei limiti della buona fede e della conformità ai principi del nostro ordinamento giuridico (ai sensi dell’art. 1322 del Codice civile). Così, nel dar vita a una polizza assicurativa che garantisca la responsabilità civile professionale, dovranno rispettarsi le regole di efficacia del contratto, anche sotto il profilo della sua causa in concreto, offrendo all’assicurato una protezione assicurativa congrua e coerente con la natura della professione svolta, la peculiarità dei termini di prescrizione della relativa responsabilità e, non ultime, le finalità di tutela dettate dall’ordinamento a presidio dei diritti dei clienti danneggiati.
Si tratta di principi che non possono essere sacrificati all’altare dell’autonomia contrattuale, la quale non può spingersi sino a confezionare contratti privi di un adeguato contenuto di copertura. 
Né, ribadisce la Corte, il mancato rispetto di tali principi nella regolazione del contratto con clausola claims made potrebbe essere superato con il mero adempimento, da parte dell’assicuratore, degli obblighi informativi che pure sono posti a suo carico (e la cui violazione potrebbe dar luogo ad altri tipi di conseguenze, anche in ambito di responsabilità precontrattuale). 

LA SOSTITUZIONE DEVE SANARE IL DIFETTO
Ciò posto, la Cassazione accoglie comunque il ricorso, criticando la decisione del giudice di merito nella parte in cui, dopo aver dichiarato la nullità della clausola di retroattività biennale, l’ha sostituita di imperio con un termine decennale che non trova alcun aggancio in una disciplina vincolistica di legge (non essendo tale la norma che regola la prescrizione del diritto risarcitorio). In sostanza, dopo aver dichiarato la nullità parziale del contratto, ha applicato il meccanismo di sostituzione automatica di cui all’art. 1419 comma 2 C.c., senza curarsi di individuare e indicare la clausola imperativa da sostituire a quella dichiarata nulla. 
Nell’affermare la legittimità in astratto della clausola claims made, la Corte pone dunque la necessità che il giudice verifichi la rispondenza della stessa ai limiti imposti dall’ordinamento anche sotto il profilo della sua causa in concreto e provveda, in caso di giudizio di affermazione della sua nullità, alla sostituzione del regolamento negoziale, ove possibile, con norme che l’ordinamento preveda per tutelare il contraente (spesso ritenuto parte debole nel negozio), attingendole da disposizioni imperative (come, se dobbiamo fare un esempio, dall’art. 11 della legge Gelli, 24/2017, che impone l’obbligo di una retroattività decennale).
Ove invece, osserva la Corte, il giudice non rinvenisse nell’ordinamento una norma protesi, idonea cioè a sanare il difetto e ripristinare la liceità della regola negoziale, non potrà di sua sponte rivisitare il contratto (come accaduto nella vicenda trattata nella sentenza), ma dovrà limitarsi a valutare se il contratto possa sopravvivere senza la clausola nulla o, invece, essere interamente travolto da quella insanabile nullità. 

ATTENZIONE AI DIRITTI DEL TERZO DANNEGGIATO
Ci troviamo, dunque, di fronte a una sentenza dalla duplice portata: da un lato censura il troppo libero ricorso, da parte del giudice, a tecniche di ristrutturazione del perimetro di operatività temporale di un contratto in regime di claims made, in assenza di una disciplina vincolistica di legge. Dall’altro ricorda come, specie nelle polizze della Rc professionale, l’autonomia negoziale delle parti debba comunque rispettare i principi di adeguatezza del contratto alle esigenze di copertura degli assicurati, anche, e forse soprattutto, a tutela dei loro clienti, come stabilito dalla norma che sancisce l’obbligo assicurativo a carico dei professionisti (art. 3 comma 5 lettera E del decreto legge 138/2011). Si tratta di un punto di equilibrio delicato, specie laddove manchi un riferimento normativo che stabilisca esattamente i requisiti minimi della copertura.
A parere di scrive, in assenza di un obbligo di legge, il contenuto più o meno ampio di una data copertura può essere determinato liberamente dalle parti e scelto dall’assicurato in funzione della sua maggiore o minore propensione al rischio. L’importante è che questi sia messo in condizione di correttamente comprendere il contenuto della garanzia e che le sue esigenze di copertura siano state adeguatamente indagate dall’assicuratore in sede di collocamento del prodotto. Fermo restando che, a monte, quel prodotto dovrà esser stato realizzato tenendo conto delle caratteristiche del target market di riferimento, in ossequio ai principi che regolano le politiche di costruzione dei contratti assicurativi (regolamento delegato Ue 2358/2017). Quando, invece, l’obbligo assicurativo è imposto dal legislatore a tutela (anche) dei terzi danneggiati, la questione, in assenza di norme che regolino l’operatività delle polizze, si complica, dovendosi fare i conti con gli interessi degli stessi danneggiati a poter contare sulla più ampia possibile copertura del responsabile civile.

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