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Una precisazione sulla liquidazione in caso di premorienza

La Corte di Cassazione ha recentemente emesso una sentenza secondo la quale, in caso di illecito e premorienza del danneggiato, la compensazione dell’indennità in base alla legge 210/92 con il danno civilistico opera nei limiti dei soli ratei già corrisposti e non di quelli capitalizzati

Una precisazione sulla liquidazione in caso di premorienza hp_vert_img
Con la pronuncia n. 32916/2022 del 9/11/2022, la Suprema Corte di Cassazione tratta l’argomento della liquidazione del danno in ipotesi di premorienza della vittima.
La vicenda concerne un’azione risarcitoria promossa dagli eredi per il decesso di un congiunto (dovuto a epatocarcinoma a sua volta cagionato dall’epatite C contratta all’esito di emotrasfusioni durante il ricovero ospedaliero), che portò alla condanna del ministero della Salute al pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni. 
Avverso alla decisione di secondo grado, in cui la domanda degli eredi aveva trovato ingresso e accoglimento in via incidentale rispetto al gravame avanzato dalla regione Campania, propone ricorso il ministero della Salute.
In particolare, il ministero della Salute si duole del fatto che la corte di merito abbia rideterminato il danno non patrimoniale iure hereditatis, senza limitare la corresponsione alla durata di vita effettiva della vittima primaria e senza scomputare “per intero”, e cioè con riferimento “anche ai ratei futuri non ancora percepiti”, l’indennizzo ex legge 210/92. (il ministero eccepisce dunque una compensatio lucri cum damno tra danno civilistico ed erogazione indennitaria; cfr Cass. Civ. Sez. Un. nn. 12564/2018, 12565/2018, 12566/2018 e 12567/2018). Sostiene il ministero che la corte territoriale avrebbe dovuto detrarre non già la sola somma quale percepito stimato alla data del decesso, ma l’ulteriore somma che avrebbe percepito sino all’epoca di stimata vita media, in quanto, ai fini della scomputabilità dell’indennizzo già riconosciuto e soggetto nella sua materiale erogazione a periodicità, lo scomputo deve essere per intero (come pure in S.U. del 2008: “integralmente scomputato”), cioè riferito anche ai ratei ancora non percepiti. Solo così si assicurerebbe l’omogeneità dei termini del raffronto tra poste risarcitorie liquidate, anche in relazione alle conseguenze dannose prevedibili per la aspettativa futura, e le poste indennitarie in detrazione la cui attribuzione patrimoniale è causalmente e funzionalmente collegata all’illecito.

Il ricorso viene ritenuto infondato e rigettato.
In particolare, gli Ermellini richiamano il costante orientamento secondo cui l’ammontare del danno biologico spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non già a quella probabile, in quanto la durata della vita futura in tal caso non costituisce più un valore ancorato alla mera probabilità statistica ma è un dato noto. Detto principio si applica però nel caso in cui la persona offesa sia deceduta per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, e non anche allorquando, come nella specie in esame, la morte sia stata viceversa direttamente cagionata dall’illecito. (v. Cass., 29/12/2021, n. 41933; Cass., 26/5/2016, n. 10897; Cass., 18/1/2016, n. 679; Cass. 11/7/2003, n. 10942; Cass., 25/2/2002, n. 2741; Cass., 7/4/1998, n. 3561; Cass., 2/3/1995, n. 2450). 
Per quanto invece concerne l’indennizzo ex legge 210/92, che il ministero della Salute voleva vedere ridotto proporzionalmente alla durata probabile di vita, la Suprema Corte afferma che, contrariamente a quanto sopra in materia di danno biologico, non può farsi luogo al defalco dell’indennizzo ex lege 210/92 con riferimento, non solo al “percepito stimato alla data del decesso”, ma anche ai percipiendi ratei futuri, giacché con il decesso del beneficiario cessa l’obbligo di relativa corresponsione.
Diversamente, il danneggiante, in questo caso il ministero della Salute, avrebbe tratto un inammissibilmente vantaggio dal proprio illecito.

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