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I termini per il risarcimento in forma di rendita vitalizia

In base a quanto chiarito dalla recente sentenza 31574 della Cassazione, la durata della vita media diventa un parametro fondamentale per una determinazione variabile dell’ammontare della rata, così come questo potrà essere soggetto ad aggiustamenti migliorativi - SECONDA PARTE

I termini per il risarcimento in forma di rendita vitalizia hp_vert_img
La rendita vitalizia predisposta ex articolo 2057 del Codice civile, inoltre, non è assoggettata dalla legge: “a una disciplina speciale”, ma sarà disciplinata dagli artt. 1872 ss. C.c., con rilevanti conseguenze poste a tutela delle ragioni del creditore, in quanto: a) il debitore non può liberarsi dall’obbligazione offrendo il pagamento di un capitale (art. 1879 co. I C.c.: la norma peraltro prevede fatto salvo patto contrario); b) il debitore non può invocare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1879 co. II C.c.); c) in caso di inadempimento del debitore, il creditore della rendita può far sequestrare e vendere i beni dell’obbligato (art. 1878 C.c.)”.
La costituzione di una rendita in favore del danneggiato dal punto di vista “tecnico” potrà: “avvenire in vari modi, di tal che il giudice potrà, in alternativa alle cautele previste per legge (come Ia stipula di una polizza fideiussoria da parte dell’obbligato), disporre l’acquisto di titoli del debito pubblico in favore dell’avente diritto, ovvero Ia stipulazione, in suo favore, di una polizza sulla vita a premio unico ex art. 1882 C.c.”.
A parere della Suprema Corte, pertanto: “nel caso di macroinvalidità (specie se comportino Ia perdita della capacità di intendere e di volere), in quello di lesioni subite da un minore per il quale una prognosi di sopravvivenza risulti estremamente difficoltosa se non impossibile, in quello di lesioni inferte a persone socialmente deboli o descolarizzate (richiedenti asilo, disabili mentali o anche semplicemente macrolesi i quali già prima del sinistro si trovassero in profondo conflitto con i familiari), ovvero ancora con riguardo alle qualità del debitore (una compagnia di assicurazione, piuttosto che un privato o una pubblica amministrazione), sussista il serio rischio che ingenti capitali erogati in favore del danneggiato possano andare colpevolmente o incolpevolmente dispersi, in tutto o in parte, per mala fede o per semplice inesperienza dei familiari del soggetto leso” il giudice: “valutando comparativamente i pro e i contro del caso concreto, ben potrà, se non addirittura dovrà, privilegiare una liquidazione del danno in forma di rendita”.

La rendita può essere correlata al potere di acquisto
Viene poi ritenuta: “ammissibile I’ipotesi di una revisione della rendita, oltre che di proposizione di una nuova e diacronica domanda risarcitoria in presenza di aggravamenti che non fossero accertabili nè prevedibili al momento della pronuncia”. Circa il “problema della possibilità di adeguamento della rendita” non sarà precluso: “al giudice, in applicazione delle cautele consentite dalla norma, prevedere ex ante dei meccanismi di adeguamento rispetto al potere di acquisto della moneta in quanto, in assenza di tali meccanismi, il risarcimento non sarebbe integrale, cosi come condivisibilmente affermato da una parte della giurisprudenza di merito (tribunale di Milano 9 maggio 2017, e 14 maggio 2019, Trib. Lecce primo luglio 2019 n. 2275, che adottano il criterio della rivalutazione annuale secondo l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri dell’Unione Europea (Ipca); Trib. Palermo 5 luglio 2017 e Trib. Gorizia 18 luglio 2017, n. 273, che fanno riferimento al Foi-Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati elaborato dall’Istat)”. La liquidazione in forma di rendita, al contrario: “non sarà in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato”. La sentenza, esplicitamente non prende posizione a proposito del tema del risarcimento: “risarcimento del danno patrimoniale attraverso Ia costituzione di una rendita”, perché non oggetto del ricorso, sebbene: “sia detto incidentalmente, troverebbe a sua volta il proprio terreno d’elezione in caso di perdita o riduzione del reddito da parte del danneggiato”.

Un calcolo che va parametrato sugli anni mancanti al raggiungimento della vita media
La Suprema Corte ha poi invece accolto il secondo motivo di gravame in quanto la quantificazione della rendita da parte della corte d’appello è avvenuta dividendo il capitale per il coefficiente di cui all’art. 46, lettera (c), dpr 131 del 26 aprile 1986 (coefficiente dettato della legge al fine di determinare Ia base imponibile dell’imposta di registro dovuta per gli atti di costituzione di rendite vitalizie).
Tale coefficiente non è rispettoso del precetto di cui all’art. 1223 C.c in quanto: “ha una progressione non corrispondente all’età del beneficiario” e quindi se utilizzato per il risarcimento del danno da invalidità permanente finirebbe, esemplificando, per accordare a un ventenne lo stesso risarcimento dovuto a un neonato, e a un quarantenne lo stesso risarcimento dovuto a un trentenne.
Di conseguenza, statuisce la Suprema Corte: “qualora il giudice ritenga di liquidare il danno in forma di rendita, dovrà procedere, in concreto:
a) a quantificare il danno in somma capitale, avuto riguardo all’età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest’ultima risulti conseguenza dell’illecito;
b) a individuare un coefficiente di capitalizzazione fondato su corrette basi attuariali, aggiornato e corrispondente all’età della vittima al momento dell’evento;
c) a dividere Ia somma capitale per il coefficiente di capitalizzazione;
d) a dividere ancora (eventualmente) per dodici il rateo annuo, se intenda liquidare una rendita mensile invece che annuale”.
La scelta di questo coefficiente, peraltro: “sarà, pertanto, oggetto di valutazione e di scelta discrezionale da parte del giudice di merito”. Un utile “riferimento paranormativo, escluse le tabelle Inail per gli infortuni mortali sul lavoro allegata al dm del primo aprile 2008 e successive modifiche (poiché a parità di età, prevedono coefficienti inversamente proporzionali al grado di invalidità permanente sul presupposto che più alta è l’invalidità, minore è Ia speranza di vita, mentre della ridotta speranza di vita non si deve tenere conto, nella scelta del coefficiente), potrà: “essere rappresentato da quello a suo tempo suggerito per Ia liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffusi dal Consiglio superiore della magistratura e allegati agli atti dell’incontro di studio per i magistrati, svoltosi a Trevi il 30 giugno e primo luglio 1989 (in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del Csm, 1990, n. 41, pp. 127 e ss. indicati, tra le altre, da Cass. 20615/15)”. In estrema sintesi, è dunque evidente l’importanza e il potenziale impatto che potrà avere questa decisione per la gestione e l’eventuale definizione dei sinistri che riguardino macrolesi in qualsiasi settore della responsabilità civile.

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