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Il danno morale esiste come fattore autonomo

Una sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la diversità ontologica del danno morale rispetto a quella del danno alla salute

Il danno morale esiste come fattore autonomo hp_vert_img
Era l’anno 2020 quando gli ermellini avevano precisato come in materia di rapporto tra danno morale e personalizzazione del danno biologico, nel procedere alla liquidazione del danno alla salute, il giudice di merito doveva: 1) accertare l’esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; 2) in caso di positivo accertamento dell’esistenza (anche) di quest’ultimo, determinare il quantum risarcitorio applicando integralmente le Tabelle di Milano (che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono all’indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno); 3) in caso di negativo accertamento, e di conseguente esclusione della componente morale del danno, considerare la sola voce del danno biologico, depurata dall’aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale; 4) in caso di positivo accertamento dei presupposti per la cosiddetta personalizzazione del danno, procedere all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno automaticamente (ma erroneamente) inserita in tabella, giusta il disposto normativo di cui all’articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni (Cassazione civile, Sezione III, 10 Novembre 2020, n. 25164; in senso conforme vedi anche Cass. 10 Febbraio 2021, n. 3310).
Si erano, dunque, affrettati i giudici meneghini a una rivisitazione grafica delle famose tabelle milanesi e, nell’edizione del 2021, l’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano esplicitava e distingueva il valore monetario riferibile al danno biologico in senso stretto dal valore monetario imputabile alla cosiddetta sofferenza o, come definita dalla Suprema Corte, “danno da sofferenza soggettiva interiore”.
Questo per ben ribadire che una cosa è la lesione psicofisica e i connessi aspetti dinamico-relazioni, e un’altra la sofferenza morale conseguente e disancorata dalle menomazioni (il punto tabellare era stato dunque epurato dalla componente morale, erroneamente ricompresa nel valore ivi indicato fino all’edizione del 2018).

LA SOFFERENZA INTERIORE È ALTRO RISPETTO AL VISSUTO
Questo è il principio ora ribadito dalla recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione Sezione 3 Civile nella sentenza 13 aprile 2022, n. 12060.
La vicenda concerne la liquidazione del pregiudizio non patrimoniale patito in seguito a un sinistro stradale. In particolare, la somma liquidata a titolo di danno biologico e di danno morale in favore del danneggiato – deceduto in corso di causa (senza, però, che la sua morte fosse stata dichiarata, per evitare il prodursi dell’effetto interruttivo del giudizio) – veniva determinata assumendo come riferimento la sua sopravvivenza effettiva dopo il sinistro, e non già l’aspettativa di vita del medesimo. 
I ricorrenti lamentano, dunque, l’avvenuta liquidazione del danno non patrimoniale c.d. “morale” in dispregio del carattere “istantaneo del medesimo”, disancorato pertanto dalla effettiva sopravvivenza del danneggiato.
È consolidata la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ove la persona danneggiata muoia nel corso del giudizio di liquidazione del danno, per causa indipendente dal fatto lesivo di cui il convenuto è chiamato a rispondere, la determinazione del danno biologico che gli eredi richiedano iure successionis va effettuata non più con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto, ma alla sua durata effettiva (ex multis Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell’ordinanza n. 15592/19, Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell’ordinanza n. 15592/19, Cass. Sez. 3, ord. 29 dicembre 2021, n. 41933).
Ma, con la sentenza in commento, la Corte ribadisce come detto ragionamento non sia valido in materia di danno morale, in quanto tale componente di danno, rispetto al danno alla salute, mantiene la sua autonomia, non essendo in esso conglobabile, visto che il secondo si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato. Invero, solo quest’ultime sono destinate, per definizione, a proiettarsi nel futuro, non potendo pertanto prescindere dall’effettiva permanenza in vita del soggetto danneggiato, ma non il danno morale che è invece a carattere istantaneo.

LA DURATA DELLA SOFFERENZA MISURA L’INTENSITÀ
Pertanto, il riferimento alla durata della sofferenza, contenuto nella pronuncia in oggetto, non doveva intendersi come correlata alla permanenza in vita del danneggiato, ma quale parametro dell’intensità, e cioè dei termini nei quali la sofferenza è rimasta permanente nel tempo o ha subito evoluzioni, essendo già escluso dalla giurisprudenza della Corte che il valore della integrità morale possa stimarsi in una mera quota minore del danno alla salute, ma anche di potersi fare ricorso a meccanismi semplificativi di tipo automatico. Che in ipotesi di illecito vi possa essere un danno morale in assenza di lesione inficiante le componenti dinamico-relazionali del soggetto, o viceversa, è pacifico.
Dunque delineati ancora con fermezza i confini, o meglio la diversa ontologia, tra danno biologico nei suoi connotati dinamico-relazioni e danno morale quale sofferenza interiore e danno di natura istantanea, viene dunque da chiedersi se abbia ancora senso, nella redazione e dunque nell’utilizzo delle tabelle meneghine, baluardo preposto alle liquidazione dei danni da illecito in tutto il territorio nazionale, prevedere di default una componente di danno morale già percentualizzata in relazione al danno biologico, ovvero per utilizzare le parole della Corte “in una mera quota minore del danno alla salute”, ricorrendo “a meccanismi semplificativi di tipo automatico”, ovvero se non sia più semplice, di fianco al valore monetario per il danno biologico dinamico-relazionale inserito nelle tabelle, prevedere semplicemente la voce “danno morale” e basta, il cui onere di allegazione e la conseguente liquidazione saranno poi rimesse ai protagonisti del processo.
Qualcuno potrebbe obiettare che così “del doman non v’è certezza”, ma è certo che il danno morale ha oramai una sua piena autonomia e ancorarlo meccanicisticamente al danno biologico non può che avere una mera finalità di natura contabile.

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