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Riflessioni sull’Insurtech in Italia

Lo sviluppo di un settore assicurativo digitale nazionale trova ad oggi ancora dei vincoli legati anche a una normativa non completamente adeguata. L’Italian Insurtech Association nasce per creare una condivisione tra i molti attori coinvolti in un settore che sarà strategico

Riflessioni sull’Insurtech in Italia hp_vert_img
Dati alla mano, nell’arco degli ultimi anni il mercato dell’insurtech in Europa sta conoscendo un’espansione che inizia a essere non trascurabile, destinata, secondo le previsioni degli osservatori del fenomeno, a incrementarsi ulteriormente nel prossimo decennio. Si consideri, a titolo esemplificativo, che si stima che entro il 2030 il 30% dei contratti assicurativi potrebbero essere interamente digitalizzati, contro il 2% attuale. 
Certo alla luce della contenuta attuale diffusione del fenomeno, non sorprende che oggi appena il 17% dei clienti assicurativi in Italia faccia uso di smart device connessi all’assicurazione sottoscritta (ad esempio, la scatola nera) e che solo il 15% utilizzi o abbia utilizzato assicurazioni app-only, forse anche in considerazione del fatto che una limitata percentuale di clienti ha affermato sinora di gradire la qualità del servizio digitale offerto dal proprio assicuratore1
Confrontando tali dati con le rilevazioni dell’Osservatorio FinTech e InsurTech del Politecnico di Milano, secondo cui in Italia, ad esempio, 9 clienti su 10 hanno dimostrato predisposizione ad avvalersi di assicurazioni di tipo on demand, emerge, da un lato, l’esistenza di una domanda crescente di servizi assicurativi fondati sull’utilizzo di nuove tecnologie e, dall’altro lato, un certo ritardo di buona parte dell’industria assicurativa rispetto alla domanda medesima, così come rispetto alle evoluzioni tecnologiche che hanno caratterizzato altri mercati.

L’ostacolo di una normativa insufficiente
Se è pur vero che tale ritardo risulta anche essere il frutto del lento processo con cui gli operatori assicurativi tradizionali si stanno avvalendo delle nuove tecnologie al fine di innovare l’offerta, è parimenti innegabile che la normativa e la regolamentazione di riferimento (assicurativa e non), al netto di qualche passo in avanti registrato negli ultimi periodi, non risultano sinora a uno stadio sufficientemente avanzato da consentire un effettivo sviluppo di un moderno ecosistema insurtech. 
In tale contesto, apparendo dubbio che le lodevoli ed embrionali iniziative legislative e regolamentari in tema di smart contract e sandbox possano apportare significativi miglioramenti a breve rispetto all’utilizzo di nuove tecnologie in ambito assicurativo, risulta opportuno intensificare gli sforzi nel pensare i nuovi contesti dell’insurtech (in chiave di comparazione europea, si considerino in tal senso quanto successo con la direttiva Psd2 in tema di pagamenti) e del quadro normativo di riferimento. 
Se davvero s’intende favorire lo sviluppo di un mercato Insurtech in Italia e una digitalizzazione delle operazioni e dei processi, il contesto normativo deve caratterizzarsi per una regolamentazione chiara e con elementi effettivi di semplificazione e certezza. Regole che sappiano descrivere e normare, ma che presuppongono l’aver osservato e capito il fenomeno, solo così il legislatore e le Vigilanze di settore possono accompagnare la crescita del settore.

Come “firmare” le polizze
In materia di collocamento e gestione a distanza dei prodotti assicurativi, ad esempio, le tematiche su cui più si avverte la necessità di una precisa regolamentazione ineriscono alla semplificazione dei processi di firma digitale quantomeno per i prodotti meno complessi e meno rischiosi (si pensi alle polizze danni più comuni e alla possibilità di distribuirle a distanza tramite utilizzo delle modalità point and click diffuse all’estero, ma in Italia non normate nel settore assicurativo), nonché ai processi di identificazione a distanza della clientela. Basti pensare, sul punto, alle difficoltà operative che gli attori di mercato stanno fronteggiando nell’ambito dell’attuale contesto di crisi derivante dalla diffusione del Covid-19 a raggiungere la propria clientela. Attualmente l’utilizzo di firme elettroniche si scontra con una disciplina rigida contenuta nelle disposizioni in tema di firma digitale, qualificata e avanzata (cfr. il Regolamento Ivass 40/18, art. 62), caratterizzate da elevati costi di implementazione e scarsa duttilità.
Analogamente il riconoscimento a distanza del cliente tramite modalità comuni e condivise, riconosciute dalla regolamentazione di settore, diverrebbe elemento chiave nell’ambito del processo distributivo digitalizzato, consentendo una maggiore certezza e celerità delle operazioni, con ricadute positive anche per i clienti quanto a sicurezza nell’identificazione, nei processi antiriciclaggio e nella reperibilità della documentazione, così come, nell’ambito della gestione del post-vendita, nella gestione e liquidazione dei sinistri. 
In tal senso sarebbe opportuno lo sviluppo di aree test per valutare l’utilizzo del sistema Spid per l’identificazione del cliente anche nel settore assicurativo e/o un’analisi condivisa a livello di sistema di eventuali altre valide possibilità di univocità nel processo di identificazione del cliente. In altri termini, il Sistema pubblico per l’identità digitale (appunto lo Spid), in merito al quale l’Agenzia per l’Italia Digitale ha recentemente adottato le regole tecniche in tema di predisposizione e consenso alla sottoscrizione del documento informatico, nonché ai requisiti tecnici relativi al medesimo, può divenire un terreno condiviso di sperimentazione anche per il settore assicurativo.

Attori di una via italiana all’Insurtech
Ulteriore tema di rilievo tra i tanti in ambito insurtech concerne il trasferimento dei dati tra gli attori della filiera assicurativa; sul punto, pur non riscontrandosi una effettiva esigenza di fissazione di standard tecnologici in tale ambito, risulta in ogni caso opportuno che gli stakeholder del mercato definiscano, eventualmente di concerto con le autorità di settore e in una logica di best practice, un insieme di regole, anche tecnologiche, sulla modalità di trasmissione condivisione e archiviazione dei dati e dei flussi informativi tra i diversi soggetti della filiera assicurativa, prescindendo dalle tecnologie specifiche utilizzate, anche ai fini della efficiente condivisione degli stessi. 
Alla luce delle considerazioni preliminari svolte, della futura crescita prevista per il settore e, in aggiunta, dalla esigenza di accelerare lo sviluppo della digitalizzazione delle operazioni (anche oltre il momento di emergenza che stiamo vivendo a causa dell’epidemia Covid19), emerge come nella prossima decade il tema della creazione di un efficiente ecosistema insurtech si porrà in primo piano anche in Italia. Sperando di non trovarci a inseguire fenomeni che vengano solo da “altrove”, ma essere in quanto sistema assicurativo italiano pronti a divenire attori di tale cambiamento o quantomeno “sperimentatori attivi e propositivi”. 
Per realizzare tale obiettivo è fondamentale, ad avviso di chi scrive, ricercare e sperimentare soluzioni e approcci tramite le opportune concertazioni tra autorità pubbliche competenti (autorità di vigilanza e ministero dell’innovazione) e gli attori della filiera assicurativa e dell’innovazione tecnologica.
Per queste ragioni di promozione e sensibilizzazione è nata l’Italian Insurtech Association (https://www.insurtechitaly.it/) e come associazione intendiamo promuovere il dibattito, la ricerca, la cultura dell’Insurtech in Italia e ogni altro profilo di valutazione, sperimentazione, proposta. 
Perché Italian Insurtech Association vuole qualificarsi come luogo di incontro, confronto, scoperta e, perché no, di sfida per chi ritiene che l’Insurtech non sia una moda, un aspetto di puro nominalismo, ma una vera opportunità per tutto il settore assicurativo italiano.


1 Stando ai dati più aggiornati il 2019 è stato un anno record per l’insurtech con 6,8 miliardi investiti nel mondo attraverso 250 operazioni (+62% rispetto ai 2,6 miliardi rispetto al 2018), ma in Europa sono stati investiti solo 897 milioni. L’Italia, negli ultimi tre anni, ha assorbito meno del 5% del totale investito in Europa.

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