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Incidenti falsi, fratture vere

Sgominata a Palermo un’organizzazione dedita a truffe assicurative. I falsi sinistri hanno fruttato circa due milioni di euro. Quarantuno le misure cautelari emesse

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Falsi incidenti stradali e vere fratture provocate a vittime complici. C’è ancora una volta questo triste modus operandi al centro dell’ennesimo caso di truffa ai danni delle compagnie assicurative venuto alla luce a Palermo. Questa mattina, i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza emessa dal gip a conclusione di indagini nei confronti di 41 persone (nove in carcere, sette agli arresti domiciliari e 25 con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) a vario titolo accusate di associazione per delinquere finalizzata alle frodi assicurative, lesioni gravissime, falso, calunnia, autocalunnia, rapina e intercettazione abusiva.

Associazione a delinquere finalizzata alle frodi
Le indagini, condotte dal nucleo investigativo del gruppo di Monreale, hanno accertato l’esistenza di una vera a propria associazione per delinquere attiva a Palermo e nel suo hinterland, specializzata in frodi alle assicurazioni mediante la simulazione di incidenti stradali con lesioni personali, nonché di numerosi altri reati contro la persona, il patrimonio, la fede pubblica e l’amministrazione della giustizia. I servizi di osservazione e le intercettazioni hanno documentato una serie continua e ininterrotta di frodi in assicurazioni e reati per lesioni personali inferte con particolare crudeltà. Frequente il ricorso a complesse messe in scena di falsi incidenti stradali e a documenti falsi.

La scelta accurata delle finte vittime
Precisi i compiti della gang: scelta del candidato cui provocare lesioni, individuazione dei mezzi assicurati da fare risultare coinvolti nel sinistro, del luogo e delle persone da impiegare per causare le lesioni e nella simulazione, gestione delle pratiche di risarcimento con le compagnie assicurative), per cui risultava necessario avere la disponibilità di un congruo numero di persone pienamente consapevoli disponibili a realizzare le frodi. Per la prima volta in casi simili, il provvedimento cautelare ha colpito anche le vittime compiacenti dei simulati sinistri, i falsi conducenti dei veicoli investitori, i falsi testimoni e i fornitori dei mezzi utilizzati. Dall’inizio dell’indagine sono emerse le figure di Luca Reina, titolare di una agenzia di pratiche assicurative in via Leonardo da Vinci, e di Salvatore Andrea Cintura, componente della famiglia di pregiudicati gravitante nel quartiere cittadino del Cep-Borgo Nuovo, al vertice dell’organizzazione che si avvaleva di una cerchia ristretta di collaboratori: organizzatori e procacciatori di vittime, testimoni e autisti di mezzi da utilizzare per gli incidenti, nonché di numerose vittime consenzienti, falsi testimoni e autisti dei veicoli coinvolti. Alcuni erano specializzati nella ricerca delle potenziali vittime, soprattutto in contesti di degrado e povertà, in alcuni casi anche colpite da disabilità intellettive o da tossicodipendenza, al fine di riuscire più facilmente a contenere le loro richieste di denaro.
Come spesso accade, il contesto di forte degrado sociale è terreno fertile perché truffe di questo genere possano realizzarsi. La prospettiva di incassare ingenti risarcimenti aveva infatti facile presa su disperati e indigenti, che acconsentivano a subire lesioni di particolare gravità, con la promessa che il risarcimento assicurativo sarebbe stato più consistente quanto più gravi fossero state le fratture che venivano loro inflitte.

Falsi sinistri per due milioni di euro
L’organizzazione nell’ultimo biennio ha incassato circa due milioni di euro quali risarcimento danni per sinistri inesistenti. I criminali si facevano carico di seguire il ferito fino alla chiusura della pratica assicurativa, sia perché, oltre alla corresponsione di un anticipo, il mantenimento era una dei punti fermi dell’accordo, sia per garantire il buon esito della truffa. Individuate anche le basi operative dove si pianificavano i falsi incidenti stradali e dove materialmente venivano procurate le lesioni che, secondo quanto emerso dalle indagini, venivano inferte senza anestetico con un pesante mattone di tufo, mentre per simulare le abrasioni derivanti dallo sfregamento sull’asfalto venivano utilizzati fogli di carta abrasiva.

La sfacciataggine dei criminali
Gli inquirenti parlano di una “estrema spregiudicatezza e pericolosità del gruppo criminale". Tra i fatti emersi, anche un episodio che mostra la sfacciataggine con cui agivano i criminali. L’organizzazione, allarmata del fatto che due membri erano stati convocati in caserma in merito a un falso incidente che li aveva visti coinvolti, aveva installato nel giubbotto di uno di questi un apparato elettronico per eseguire intercettazioni ambientali, riuscendo a intercettare la prima parte dell’esame a cui il teste era sottoposto da parte degli investigatori. I militari che stavano procedendo all’esame del teste, si sono accorti che nella tasca del giubbotto aveva un apparecchio per intercettazioni ambientali che stava trasmettendo in tempo reale su un cellulare in uso a uno dei componenti della banda, ciò che stava accadendo nella caserma di Borgo Nuovo.


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