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Spesa sanitaria in aumento

Ieri il segretario generale dell’Ivass, Stefano De Polis, è stato ricevuto in audizione alla camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui fondi integrativi del Ssn

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La spesa sanitaria complessiva in Italia nel periodo 2013-2017, rilevata dall’Istat, è cresciuta del 6,4%. L’evoluzione delle varie componenti è differenziata: mentre la spesa pubblica (che rimane la parte prevalente) è cresciuta nel quadriennio del 3,5%, la spesa intermediata da enti no profit e imprese di assicurazione è salita del 18% (+9,1% solo nell’ultimo anno) e quella sostenuta direttamente dagli assistiti (out-of-pocket) del 15%. Lo ha rilevato Stefano De Polis (nella foto) segretario generale dell’Ivass, nel corso dell’audizione di ieri mattina presso la commissione Affari sociali della Camera.
L’intervento di De Polis è avvenuto nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario pubblico.  “Il tema della sanità integrativa – ha detto il segretario generale dell’Ivass – è di particolare e crescente interesse considerata l’evoluzione del contesto economico e sociale e la ormai costante crescita della spesa sanitaria privata”.

Raccolta assicurativa in aumento

I premi del ramo malattia raccolti dalle imprese di assicurazione italiane evidenziano un trend moderatamente crescente in rapporto al complesso della spesa sanitaria intermediata e ne rappresentano a fine 2017 circa il 70%.
I premi contabilizzati dalle imprese di assicurazione per il ramo malattia rappresentano nel 2017 l’8% sul totale dei premi danni. I sinistri denunciati sono oltre 5,8 milioni, in netto aumento (+12,9%) rispetto al 2016. L’88% degli importi per i sinistri accaduti nel 2016 risultano liquidati a fine 2017.
“Con riferimento specifico al settore in esame – ha osservato De Polis – la prima problematica che riscontriamo è che i consumatori non hanno chiaro chi è il soggetto responsabile della prestazione sanitaria che gli viene erogata e, quindi, dell’eventuale disservizio che si può verificare in relazione a tale prestazione”. I reclami e le segnalazioni che l’Ivass riceve sono riferiti in maniera indifferenziata a imprese di assicurazione, a fondi sanitari e società di mutuo soccorso, questi ultimi non assoggettati alla vigilanza dell’Ivass, e anche agli stessi provider di servizi sanitari (intendendosi per tali le imprese di servizi che stipulano convenzioni con fondi e casse e che tengono i contatti con le strutture sanitarie).

Usare un’adeguata terminologia

“Riteniamo necessario che sia fatta chiarezza sui limiti nell’oggetto sociale di alcuni enti”, Fondi sanitari e società di mutuo soccorso, “eliminando ogni aspetto di confusione rispetto alla natura dell’attività svolta dalle imprese di assicurazione”. Ciò dovrebbe estendersi anche all’uso di un’adeguata terminologia nella descrizione dei servizi offerti ove non garantiti (De Polis ad esempio suggerisce di evitare in questi casi l’utilizzo del termine assicurazione).
“La materia della sanità integrativa continua a registrare lacune che possono nuocere all’intero settore, con ricadute sia in termini di gestione e solvibilità delle singole forme di integrazione al Ssn, sia di qualità del servizio reso agli aderenti. Sarebbe pertanto opportuno che le prestazioni sanitarie fossero inequivocabilmente identificati e descritti così da evitare false aspettative negli assistiti e pretestuosi dinieghi da parte degli enti cui gli stessi si sono affidati”.

Un nomenclatore unico delle prestazioni specialistiche

Tale obiettivo, secondo l’Ivass, si potrebbe conseguire attraverso il ricorso a un nomenclatore unico delle prestazioni specialistiche, cui dovrebbero attenersi tutti gli operatori della sanità integrativa (fondi, casse, società di mutuo soccorso, imprese di assicurazione, providers…) da aggiornare nel tempo, “con il duplice beneficio di eliminare la forte discrezionalità oggi presente nell’interpretazione delle prestazioni oggetto dei piani sanitari, e di favorire una concreta confrontabilità tra i piani sanitari e una più agevole fruibilità delle prestazioni”.

La non autosufficienza

De Polis si sofferma poi sulla non auto sufficienza, “tema merita una menzione specifica”.
L’Italia è tra i Paesi con maggior tasso di invecchiamento che, congiunto al ridotto numero delle nascite, determina un incremento del peso relativo degli anziani sul totale della popolazione. Dalle rilevazioni Istat emerge che al 1° gennaio 2018, il 22,6% della popolazione ha un’età superiore o uguale ai 65 anni, il 64,1% ha età compresa tra 15 e 64 anni mentre solo il 13,4% ha meno di 15 anni. L’età media della popolazione ha oltrepassato i 45 anni.
“Il fenomeno dell’invecchiamento demografico – ha sottolineato De Polis – si ripercuote inevitabilmente sull’universo dei bisogni di cura, in espansione nonostante l’aumento del numero di anni vissuti senza limitazioni nelle attività della vita quotidiana dopo i 65 anni”: tra il 2008 e il 2015 da 9,0 a 9,9 anni per gli uomini e da 8,9 a 9,6 anni per le donne.
Secondo il segretario generale dell’Ivass, la spesa pubblica per Long term care (Ltc), rivolta agli anziani e ai disabili non autosufficienti, include tre componenti: la componente sanitaria; la spesa per indennità di accompagnamento; la spesa per altre prestazioni. “L’aggregato, calcolato dalla Ragioneria generale dello Stato – rivela De Polis – risulta pari all’1,7 % del Pil nel 2017 (1.716 miliardi di euro), di cui circa tre quarti della spesa erogata a soggetti con più di 65 anni”. La componente sanitaria e le indennità di accompagnamento coprono l’86% della spesa complessiva per Ltc (rispettivamente, il 40% ed il 46%).  Da una proiezione condotta dalla Ragioneria Generale dello Stato, emerge che il rapporto fra spesa per Ltc e Pil passerà dall’1,7% del 2017 al 2,6% del 2070.



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