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Il pensiero fa la differenza

Il pensiero fa la differenza hp_vert_img
L’assicurazione deve essere agile. È questa la conseguenza più immediata introdotta dallo scenario di mercato, dalle diverse abitudini al consumo e dalla presenza di giganti digitali che sempre più si pongono come minacciosi competitor del settore assicurativo. 
Le compagnie stanno così assistendo a un cambio di passo che si concretizza in investimenti per snellire anni di stratificate infrastrutture operative, semplificare la gestione delle aree di business, integrare e, finalmente, valorizzare un patrimonio informativo preziosissimo sia per le potenzialità commerciali, rimaste finora inespresse, sia per il suo valore in termini di maggiore capacità di determinare il rischio. 
Sovrana indiscussa in tutte le iniziative di cambiamento è la tecnologia. Pervasiva e irrinunciabile, la leva tecnologica rischia però di essere interpretata come unico mezzo per guadagnare vantaggio competitivo, come unica strada da seguire in un percorso obbligato verso la soluzione dei problemi. 
Ma almeno nelle intenzioni, tutti sembrano concordi nel ritenere che lo strumento tecnologico sia un “fattore abilitante” attraverso cui sviluppare scelte strategiche capaci di traghettare le compagnie (e i canali distributivi) verso più evolute modalità di condivisione delle informazioni e comunicazione con il cliente, traducendo il suo effetto in efficienza, capacità di migliorare la customer experience e costruire presidi commerciali una volta impensabili per il mondo delle polizze e dei contratti assicurativi. 
Anche l’assicurazione sta quindi battendo strade lastricate di big data, partnership con altri settori, instant insurance, mondo social, telematica e intelligenza artificiale. 
L’obiettivo dei tanti cantieri aperti è rivolgersi più efficacemente a un pubblico più vasto, sostenere gli assicurati con servizi diversificati ma a valore aggiunto. E, anche, creare community su cui sperimentare nuove forme di business, più o meno snelle rispetto alla tradizionale sottoscrizione del contratto assicurativo, attraverso cui imporsi come soggetto “smart” al pari di Amazon o Google. 
Sullo sfondo di questa fervente attività si intravede un’incognita, o almeno un interrogativo ricorrente sulla reale identità, o la mutata fisionomia, con cui il settore assicurativo potrà (o vorrà) continuare a operare a seguito dei lavori attualmente in corso. 
Il tema del successo delle iniziative, che dovrà prima o poi sostituirsi alle fasi di necessaria sperimentazione, implica l’obbligo (anche o soprattutto?) di costruire valore economico, ritorno sugli investimenti e guadagno effettivo per le compagnie e per gli intermediari. Impossibile sottovalutare, almeno in questa fase, che l’assicurazione resta nel nostro Paese ancora un mercato di offerta. Un mercato in cui, solo per fare un esempio, una polizza che si preoccupa della solitudine degli anziani, tema sempre vivo nei secoli, ha l’effetto di sollevare riflessioni e soddisfare bisogni. Anche, probabilmente, in assenza di smartphone. Un’evidenza che dimostra che il pensiero e la capacità di vicinanza dell’essere umano, in tempi di big data e intelligenza artificiale, continueranno a essere, al di là dei fattori abilitanti, la vera leva per “fare la differenza” e distinguersi dagli altri. 

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