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C’è bisogno di una nuova sanità

La sanità è spesso sottovalutata, riguarda da vicino la vita di milioni di persone, soprattutto, quella degli anziani.
Siamo tutti consci che il sistema sanitario nazionale è a rischio. Abbiamo 20 sanità diverse, quante sono le regioni italiane. In base alla regione, ahimè, la qualità si modifica, non è la stessa ovunque e sono fortissime le differenze tra nord, centro e sud del Paese. Sta scemando il carattere universale della sanità pubblica italiana e la possibilità di curarsi tutti in egual maniera: e non è questione di poco conto. Il diritto alla salute dovrebbe essere garantito a tutta la popolazione italiana.
Quello che stupisce, soprattutto in queste settimane di campagna elettorale, è proprio che l’argomento non sia stato trattato mentre se ne dovrebbe discutere da mattina a sera, vista l’entità e la gravità del problema e visto che entro un periodo abbastanza breve lo Stato si troverà ad affrontare la grande questione dell’ulteriore invecchiamento della popolazione.

Sulla sanità si continuano a operare tagli e a indebolire il ruolo del settore pubblico a favore del privato.  
Esistono, è importante sottolinearlo, le polizze malattia, ancora troppo poche però per andare incontro alle cure necessarie della collettività. A oggi pare crescano di più nel  settore collettive e un po’ meno nelle individuali. Il costo di queste ultime è ancora eccessivo, sia per una singola persona sia per un nucleo familiare, mediamente di tre persone. Questo significa disegnare una società a uso esclusivo di chi può permettersela, dei più abbienti.
Esiste ancora il diritto alla salute? A quarant’anni dalla storica riforma, che tanti Paesi ci invidiano, ci si ritrova, oggi, in una situazione abbastanza preoccupante. A Roma, come in altre città, esistono, da almeno un decennio, ambulatori per i poveri (pensionati, disoccupati, persone separate, emigrati) che fanno la fila per una visita.

Alcuni sati dell’Inmp (Istituto nazionale migrazione e povertà) ci dicono che nel 2008 il rapporto tra pazienti italiani e immigrati era del 6%: oggi è del 50%. In questi poliambulatori, oltre alla visita medica si forniscono farmaci e dispositivi medici. La lunga recessione, con i suoi colpi di maglio sul reddito degli italiani, ha infierito pesantemente sull’accesso ai servizi sanitari. I cittadini che hanno rinunciato a curarsi, negli ultimi diciotto mesi, (fonte Istat) sono quasi il doppio di quelli del 2008. Anche il Censis conferma la gravità dei fatti: gli italiani stanno rinunciando a curarsi, o rinviano a tempi migliori.
Esistono troppe disuguaglianze e la situazione generale peggiora. Anche la geografia contribuisce a questa grave situazione: nelle regioni del nord c’è la massima concentrazione d’italiani in buona salute, perché le situazioni economiche decisamente migliori consentono loro di curarsi al meglio. Senza dimenticare l’ultimo rapporto del Tribunale del malato che mette in grande rilievo le liste di attesa, malgrado le affermazioni del governo su una situazione migliorata, con le nuove regole varate sulla tempistica, ma  raramente rispettate. L’attesa viaggia tutt’ora, anche in Lombardia, ad almeno quattro mesi per un ciclo di chemioterapia, otto mesi per una visita specialistica e ben quindici mesi per una mammografia. Tempi inaccettabili. Altro che progettare la costruzione del fatidico ponte tra Reggio e Messina...

Gli italiani saranno tutti uguali davanti alla legge (?) ma non certo nei confronti della salute, sulla quale comunque la nostra Costituzione è chiarissima. Basta dare uno sguardo ai ticket e ai superticket. Una visita specialistica può costare 18 euro in Basilicata, ma 28 euro in Lombardia. Il discorso non cambia per gli esami del sangue. In altre parole, le differenze tra regione e regione sono assurde e inaccettabili: il tutto, ovviamente, a parità di prestazione.
Non vanno dimenticati i malati cronici che non sono certo agevolati e devono districarsi tra controlli che vengono effettuati con ritardo, quando dovrebbero essere fatti periodicamente. E il danno economico che ne consegue non ricade sempre sul settore sanità?
Insomma, il quadro non è idilliaco: sprechi, negligenza, malaffare, un po’ di tutto sta deteriorando il sistema. Va dato dando però il giusto onore ad alcuni centri clinici che sono dei veri gioielli. Nella sostanza, è sempre l’uomo che fa la differenza.

Sarebbe non solo interessante ma auspicabile che l’obiettivo del prossimo governo fosse quello di mettersi attorno a un tavolo con i primari gruppi assicurativi per costruire una sorta di joint venture, trovando il modo di alleggerire il peso dei sinistri e aiutare l’Italia a sanare questa situazione non più tollerabile.
Andrebbe modificato il modus operandi del sistema assuntivo, studiando prodotti ad hoc per i vari ceti sociali. Mettere delle griglie ai contratti per evitare gli abusi. Cercare di produrre meno rischio per le imprese spalmando lo stesso sul maggior numero di cittadini. Ad esempio, se si dovrebbero effettuare visite mediche prima di accettare il rischio, un po’ come si fa per le Tcm quando si supera un certo capitale. Questo darebbe qualche maggiore serietà anche al contratto in emissione.
Il ministero della Sanità dovrebbe rendere questi contratti totalmente detraibili e forse, dico forse, applicando un sistema diverso e non elitario, la richiesta della cittadinanza aumenterebbe non di poco. Si potrebbe così andare a toccare anche il ceto medio-basso, chiedendo l’aiuto anche dei Comuni.
Aiutare i cittadini italiani a riprendere in mano la propria dignità di essere umano, il diritto ad avere una salute discreta, controllata, controllabile e contemporaneamente non andare a gravare eccessivamente sui bilanci delle imprese assicurative che, se è vero come è vero che non sono istituti di beneficenza, hanno comunque un importantissimo ruolo sociale e di grande valenza etica.

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