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Lo “strano caso” dell’infortunio in itinere

Una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha escluso che possa configurarsi un infortunio in itinere ogni qualvolta “il ‘normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro’ risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica” (Cassazione civile, SS.UU., 7 settembre 2015, n. 17685). In altre parole, ove il precorso casa-lavoro costituisca la mera occasione dell’infortunio, ciò potrebbe non essere sufficiente per ottenere l’indennizzo INAIL.

Nel caso da cui origina il dictum delle Sezioni Unite, infatti, la vittima aveva sì subito l’infortunio mentre si trovava sul percorso casa-azienda in orario prossimo all’inizio del lavoro ma, di fatto, avrebbe “subito un rischio che riguarda la sua vita personale, del tutto scollegato all’adempimento dell’obbligazione lavorativa o dal percorso per recarsi in azienda, essendo stata aggredita e accoltellata dal proprio convivente”; evento, questo, che “ha spezzato ogni nesso con la prestazione lavorativa”.

In conclusione, la particolarità dell’evento da cui era conseguito l’infortunio doveva escludere – secondo la Corte – la possibilità stessa di configurare quella “occasione di lavoro” che sarebbe pur sempre richiesta dalla disciplina pubblicistica.

Ora, rispetto alla pronuncia in questione, si pongono due ordini di considerazioni: la prima di natura formale, la seconda di ordine sostanziale.
Quanto alla prima, pare indubbio che il D.Lgs. n. 38/2000 abbia espressamente tipizzato la fattispecie dell’infortunio in itinere proprio per fissare quel collegamento eziologico tra infortunio e occasione di lavoro che altrimenti difetterebbe, secondo la disciplina di diritto comune (ex art. 2087 c.c.), nei casi in cui l’evento dannoso si produca al di fuori dell’ambiente di lavoro.

Non è dato, cioè, comprendere a quale ulteriore elemento rimandino le Sezioni Unite, quale condizione per poter ritenere integrata (o meglio, per escludere) la fattispecie dell’infortunio in itinere.
Ciò a maggior ragione ove si consideri che il legislatore, laddove ha voluto, ha previsto specifiche esclusioni di copertura (gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida).

L’interpretazione della Cassazione, pertanto, parrebbe spingersi ben oltre l’inequivoco dato legislativo di riferimento.
Ma anche a voler prescindere dagli argomenti di ordine formale appena rassegnati, l’interpretazione offerta dalle Sezioni Unite potrebbe avere l’effetto di escludere l’indennizzabilità dell’infortunio (e non solo di quello in itinere) ogni qualvolta l’evento sia imputabile al fatto doloso di un terzo (sia esso un utente della strada o un collega della vittima). Con l’ulteriore conseguenza che l’assicurazione obbligatoria contro i danni subiti in costanza di lavoro si trasformerebbe, in concreto, in una assicurazione di r.c. dell’eventuale responsabile dell’infortunio (copertura che non opererebbe – né, a quel punto, potrebbe essere altrimenti – nel caso in cui il fatto venga commesso con dolo).
Il che finirebbe col tradire la ratio sottesa al D.P.R. 1124/1965. Il che, mi sia consentito, non può e non deve essere.

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