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Giovani e famiglia

Con  sorpresa e  amarezza,  ho appreso dalla stampa nazionale notizie di aule universitarie straripanti di giovani che, per poter conservare la speranza di conquistarsi un seppur incerto futuro, lottano per  iscriversi a una facoltà universitaria  e quindi  frequentare. Abbiamo letto di 4/5000 persone in fila, con la speranza di essere “ammesso”;  le  disponibilità di iscrizioni si aggirano tra i 250 e i 400  allievi per quasi tutte le Facoltà;  in altre Università disponibilità ancora più scarse.  Non ci sono alternative : è numero chiuso!
Questo nostro Stato  ha  reso l’istruzione un percorso ad ostacoli; molti giovani hanno dovuto  sostenere prove di ammissione  ai corsi, rispondendo ad un “quizzone” di 80 domande, non di rado “fantasiose”, in un tempo contingentato.  Abbiamo visionato  un campione di  queste domande; alcune  valutate difficili,  altre  addirittura incomprensibili e, non di rado,  fuori tema se rapportate alla facoltà scelta. 
Parere  di molti osservatori, oltre che mio.  

Alcuni di questi  “quiz”  richiedevano capacità culturali non comuni per poter rispondere a domande su argomenti lontani anni luce dalle scelte fatte. Gli studenti che hanno partecipato a questa selezione, a parere del nostro  Governo, che  queste modifiche legislative ha voluto, avrebbero necessitato di una formazione culturale maggiore, di gran lunga superiore . Traguardo impensabile per dei ragazzi che hanno appena finito il percorso delle medie superiori, fatte salve le  lodevoli eccezioni. Alias: i secchioni!
Questi episodi dimostrano che non c’è stata alcuna volontà di voler andare incontro alla nostra  gioventù. La nostra generazione e quella  precedente  hanno responsabilità gravissime in questo senso. Sprechi, mala gestio, incapacità amministrative e politiche, ruberie  a mani basse: ai nostri figli e nipoti, abbiamo consapevolmente scippato il futuro. O lo abbiamo lasciato fare.

Parlando di futuro, l’enorme gravità di ciò che sta succedendo poggia proprio sulle attuali possibili aspettative di un’intera generazione di giovani, donne e uomini, che non solo non trovano un posto di lavoro, (a meno che… non “supportati”  dal solito  “ santo in paradiso”)  ma, addirittura, si legifera per il  “numero chiuso”,  rubando loro anche i sogni. 
Ergo: niente lavoro, niente scuola! 
E’ sensato tutto ciò?  Non sarebbe stato meglio ipotizzare una possibilità per tutti, fermando le matricole solo alla fine del loro primo anno, ove  avessero inequivocabilmente  dimostrato di non ottemperare all’impegno assunto,  di non aver concluso il piano di  studi del primo anno o  ottenuto una media  minima, stabilita a monte?  Solo allora sarebbe stato giustificato escludere coloro che non si impegnavano seriamente, lasciando spazio a chi ha effettivamente voglia di studiare. Lo avrei trovato molto più equo ed educativo!
Vogliamo togliere, a questi nostri ragazzi,  anche l ‘alibi di essere “occupati” su qualcosa? Un progetto di studio, lavoro, speranza di  futuro. Nella sostanza, destabilizziamo i giovani: no allo studio, impossibilitati a trovare un’occupazione di qualsivoglia natura, forse qualche lavoretto in “nero”… cosa resta loro? Il passamontagna?

La crisi incombe e travolge un po’ tutti.  Ai nostri c.d.  “bamboccioni” ,  mal descritti da un ex  ministro, non resta che la  “m a m m a” , la famiglia tradizionale,  se c’è, per  vera necessità!  Un’indagine di mercato  (Coldiretti e Censis), ci dice anche  che un giovane su tre abita ancora in famiglia, con coloro che li hanno generati. Per giovani,  intendiamo uomini e donne che – non di rado – hanno superato la soglia dei 35/40 anni.  
Nella sostanza, la società  riattiva  la copertura familiare, che è una caratteristica tutta italiana. Chi appena può permetterselo,  stabilisce magari  il domicilio in zona limitrofa ai genitori, dove si reca – di norma –  a pranzo o cena, casa accudita per merito materno,  nessuna spesa ulteriore per le necessità insite nella conduzione di un seppur piccolo appartamento e della sopravvivenza.
Per coloro che si preoccupano  che la famiglia sia una struttura arcaica e superata, sbaglia. Essa è, e resta, in questo momento di crisi, ma crediamo anche in futuro, una realtà insostituibile.  La ritengo il motore fondamentale del rinnovamento etico. Malgrado tutto ciò che  giornalmente questa società ci propone! 
Sovvertiti i veri valori dell’esistenza, unitamente ai principi fondanti di una società civile. 
Brillano purtroppo i “furbetti del quartierino”,  e parrebbe che la meglio spetti sempre a loro. Si è quasi  raggiunto l’assurdo:  il cittadino “normale” , finisce per sentirsi  in grave disagio psicologico quando il suo comportamento, come quello della stragrande maggioranza degli italiani,  è ligio e rispettoso delle regole. Quello che possiede è magari poco,  ma è stato guadagnato con il sudore della fronte, tutto alla luce del sole, nessuna “dimenticanza” fiscale, nessuna ruberia. In altre parole, il pilastro portante di questa Italia, la famiglia,  è fondamentale per non fare sprofondare nelle difficoltà, nei disagi un esercito di cittadini. 

Quale può essere, in questa drammatica situazione, che coinvolge l’intera Europa e non solo, il modello vincente? A mio parere, sempre e solo la solidarietà tra generazioni. L’obiettivo deve essere quello di vivere e stare bene insieme, anche se logisticamente in dimore diverse.
Non credo si tratti di un segnale di arretratezza né culturale, né sociale. In un’era come la nostra, questa crisi è stata  “spalmata”, anche mediaticamente, sulle famiglie italiane, grazie anche  a coloro che ci hanno “governato” nel passato. Costoro non hanno certo avuto a cuore le vite dei loro elettori, deresponsabilizzando, con i loro comportamenti,  l’intero stato sociale . Bravissimi a  carpire la buona fede dei più, forse per una sorta di “ ingenuità  generalizzata”.  Neppure i ricordi della nostra storia, pur relativamente recenti,  sono stati in grado di incidere sulle coscienze di tutti,  per proteggerne l’esistenza.
Sempre la stessa indagine ci dice che,  il 54% della popolazione desidererebbe vivere in un luogo dove gli abitanti si conoscano, frequentino e instaurino un clima di aiuto reciproco, di solidarietà. Utopia o voglia di migliorare la qualità della vita? Un buon 30% è convinto di vivere già nell’habitat sognato. Senza sottovalutare  tutti coloro che scapperebbero ben volentieri dalle grandi  città, inquinate come aria e come acustica. Cibi sani, vita esente da stress. Verde.
Forse, dico forse, alla base di questo brutto periodo, esiste la voglia di comunicare, costruire dei veri rapporti umani, poter condividere, anche con l’amico vicino di casa,  le nostre ansie, le vere paure del domani, le gioie, la speranza di un futuro diverso, magari migliore, considerato che i sogni non possono  essere  “t a s s a t i”,  né devono essere esposti sul “Modello Unico”  di ognuno di noi. 
Almeno per adesso!

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