Insurance Trade

Ledere la privacy è danno da risarcire

La divulgazione non autorizzata di informazioni sulla sfera sessuale della persona è intesa come reato, la cui vittima ha diritto di vedere riconosciuto economicamente il danno subito

Watermark vert
La violazione della privacy costituisce, nella moderna società della comunicazione, un illecito che appare essere ancora più da sanzionare, invece che da sottovalutare, in ragione della peculiarità del diritto leso (quello alla riservatezza della propria condizione vitale) e della facilità con la quale la notizia lesiva dell’individuo può oggi circolare sul web e diffondersi senza controllo.
La violazione della privacy non è mai, si badi, la lesione dell’onore o del decoro della persona (che è cosa diversa ed attiene al reato specifico con danno al vilipeso), ma costituisce la semplice divulgazione di dati personali che riguardano aspetti sensibili della persona, sui quali lo stesso titolare del diritto ritiene di dover preservare il riserbo.
Non è insomma il contenuto diffamatorio a integrare la lesione, bensì la semplice divulgazione non autorizzata di dati personali e veritieri sui quali, per la sfera affettiva e soggettiva coinvolta, il titolare aveva privilegiato il riserbo.
La vicenda che ci porta alla sentenza in evidenza (Corte di Cassazione n. 1126 del 22 gennaio 2015, pres. Segreto, est. Travaglino) origina dalla citazione per danni avanzata da una persona che nell’anno 2001, nel corso della rituale visita di leva, aveva dichiarato di essere omosessuale, evenienza che aveva portato al suo esonero dal servizio.
Poco dopo tali fatti, l’attore narrava di essere stato chiamato dalla Motorizzazione Civile per la revisione della patente di guida e che il provvedimento e la conseguente convocazione erano stati disposti per effetto della comunicazione che l'ospedale militare aveva reso alla Motorizzazione, sostenendo, in ragione delle sue inclinazioni sessuali, la mancanza dei requisiti richiesti per la guida degli automezzi.
Tanto premesso, lamentando nel comportamento di entrambe le Amministrazioni statali una palese violazione della privacy ed un tipico contenuto di discriminazione sessuale, l’attore chiedeva la condanna sia del Ministero che della Motorizzazione al risarcimento del grave danno morale patito, quantificandolo nella misura di 500.000 euro.
Accertati i fatti come narrati, il giudice di primo grado accoglieva la domanda condannando entrambi i Ministeri al pagamento della somma di 100.000 euro, mentre la Corte di appello riduceva l'entità del risarcimento a 20 mila euro, ritenendo "esorbitante”, oltre che "del tutto priva di riscontro motivazionale", la somma "riconosciuta dal giudice di primo grado".
La Corte di Cassazione decide dunque accogliendo il ricorso della vittima dell’illecito, la quale lamentava l’esiguità delle somme riconosciute dalla Corte di appello, rammentando, innanzitutto, che il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale sia stato espressamente ascritto al novero dei diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 della Costituzione, quale essenziale forma di realizzazione della personalità.
Quanto invece alla entità della minor somma riconosciuta dalla Corte di appello, la Cassazione ne censura la motivazione di fondo, rilevando come la notizia riservata e resa in violazione della privacy avesse inciso sulla persona colpita in modo diretto, ledendo, come atto di omofobia, la sensibilità e la serenità di vita.  Questo porterà – nel nuovo giudizio rimesso avanti alla stessa Corte di Appello – ad una compensazione del danno molto più vicina alla entità pretesa e comunque idonea a compensare la lesione di un diritto primario della persona".
Non è dunque importante il contesto nel quale la notizia riservata verrà divulgata (qui solo una procedura amministrativa di revisione della patente), posto che la violazione del dato sensibile colpisce più per la sofferenza morale della vittima che per la sua diffusione in contesti più o meno limitati".
Il danno dunque consiste nella semplice lesione della individualità soggettiva (la sofferenza propria), potendo al più essere solo aggravato dalla ampia divulgazione che la notizia resa senza riservatezza abbia in seguito avuto nel contesto sociale della vittima.

Filippo Martini, Studio Mrv

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti