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Peste suina: che cos’è e come affrontarla

La variante africana di questa malattia è una grave infezione, che colpisce gli animali, ma che non risulta essere trasmissibile all’uomo. Eppure sono molti i problemi causati da questo virus, che ha conseguenze sia per la salute pubblica sia sul piano assicurativo - SECONDA PARTE

Peste suina: che cos’è e come affrontarla hp_vert_img
Le caratteristiche del virus che causa la PSA, la peste suina africana, fanno sì che non sia stato possibile approntare un vaccino efficace contro questa malattia, e anche le cure a disposizione non hanno fornito risultati accettabili, almeno fino a ora. L’unica possibilità di arginare la diffusione di questa vera e propria peste consiste quindi nella prevenzione e nella gestione del rischio che essa rappresenta, limitando il più possibile la circolazione dei suini infetti.
Occorre blindare gli allevamenti, anche perché l’arrivo di suini ammalati nei macelli costringe le autorità a mettere in atto provvedimenti e iniziative per scongiurare altri contagi, il che spaventa moltissimo gli allevatori, alcuni dei quali sono purtroppo tentati di non denunciare l’esistenza della malattia nelle loro stalle. Si sono già verificati alcuni casi del genere nel Pavese, il che desta molte preoccupazioni. 
Gli amministratori delle regioni più colpite insistono sul fatto che la PSA possa essere sconfitta solo con una strategia nazionale, in quanto l’infezione non conosce confini amministrativi, come dimostra la sua rapida espansione. 

LA GUERRA AI CINGHIALI
Il Governo ha così dichiarato guerra ai cinghiali, sulla base di un piano redatto dal commissario straordinario per l’emergenza PSA, Vincenzo Caputo. Il documento parla di “una riduzione significativa e generalizzata delle densità di cinghiale sul territorio nazionale” e punta ad abbattere, solo nel primo anno, 612mila animali, su una popolazione complessiva stimata tra uno e 1,5 milioni, aumentando la caccia del 96% rispetto al periodo 2019-2021 e ricorrendo addirittura all’aiuto dell’esercito. Ciò ha sollevato alcune perplessità tra gli studiosi. 
“Guardando l’esperienza di altri paesi dell’Unione Europea, chi ha cercato di controllare la peste con i soli abbattimenti ha diffuso ulteriormente il virus”, ha dichiarato in un’intervista Vittorio Guberti, esperto di PSA presso l’Ispra. Secondo Guberti, incentivare l’attività dei cacciatori nelle aree dove circola il virus ha un’alta probabilità di essere controproducente, perché la caccia al cinghiale si esercita con gruppi di cacciatori e cani, il che implica una forte spinta alla fuga da parte di questi animali. La presenza di cacciatori, cani e mezzi di trasporto nelle aree dove si trova il virus, che sopravvive a lungo anche nel terreno, presenta inoltre evidenti rischi di trasporto e diffusione. I numeri dimostrano come la caccia, finora, non sembra aver funzionato. 
Nell’arco di un anno e mezzo, dalle province di Genova e Alessandria il virus si è diffuso in Liguria e Piemonte (Asti, Cuneo, Savona), anche in Emilia Romagna e Lombardia, soprattutto nella zona di Pavia, dove nei giorni scorsi ha fatto il suo ingresso nei primi allevamenti intensivi, oltre a raggiungere il Lazio, la Calabria, la Campania e la Basilicata. 

I RISULTATI DELLE RECINZIONI (ALL’ESTERO)
Nel 2022 l’Italia si è impegnata con l’Unione Europea a realizzare un piano di eradicazione della malattia basato sul controllo del territorio. In pratica, per impedire che il virus si spostasse per mezzo degli animali selvatici, si sarebbero dovute creare barriere e recinzioni, in grado di isolare l’area di contagio. 
Questa strategia ha portato risultati significativi in Belgio, che con 350 km di recinzioni ha debellato il virus, e in Germania, dove ingenti finanziamenti e 1.500 km di recinzioni hanno consentito di circoscrivere le aree infette lungo il confine con la Polonia, dove purtroppo il virus circola ancora. Le recinzioni in Italia avrebbero dovuto essere pronte già nel luglio del 2022, ma il Governo ha scelto di usare un’altra strategia, basata principalmente sull’abbattimento dei cinghiali, incluse le aree di circolazione virale. Questa politica, come abbiamo visto, non ha finora generato alcun miglioramento e stiamo invece assistendo a un’escalation dei contagi.
Al momento, la provincia di Pavia sembra essere particolarmente colpita, al punto che la locale Agenzia per la tutela della salute ha addirittura ordinato l’abbattimento di un certo numero di maiali custoditi nel rifugio Cuori Liberi di Zinasco, gestito dalla Lav e da altre associazioni animaliste.

I POSSIBILI RISVOLTI ASSICURATIVI
A parte le gravi perdite economiche cui abbiamo accennato, un fenomeno di questa rilevanza non può non comportare ricadute sul piano assicurativo. La questione legata alla responsabilità prodotti per i salumi che dovessero risultare infetti è ancora tutta da considerare e ci vorrà del tempo, dal momento che, come abbiamo detto, l’uomo è immune alla malattia. Si tratterà quindi di vedere quali conseguenze indirette potrà determinare l’eventuale consumo di questo tipo di alimenti.
Ci sono poi prodotti assicurativi che coprono le perdite legate alla morte di animali da allevamento. Nel nostro mercato sono disponibili polizze che coprono i rischi zootecnici, con lo scopo di aiutare gli allevatori nella gestione della loro attività. Si tratta di prodotti offerti da poche compagnie specializzate, che coprono i casi di morte per cause straordinarie dovute alle malattie epizootiche, ovvero da epizoozia (diffusione di malattie infettive tra gli animali degli allevamenti). Queste polizze coprono la perdita del valore del capitale zootecnico, il fermo stalla, il blocco della movimentazione animale e il divieto di vendita dei prodotti derivati, come latte e carne, in seguito a un’ordinanza sanitaria. È inoltre possibile estendere la copertura allo smaltimento delle carcasse, il che fa pensare che questi prodotti potrebbero fare al caso degli allevatori colpiti dalla PSA, sempreché non siano state nel frattempo introdotte esclusioni ad hoc, data la potenzialità economicamente devastante di questa particolare infezione. 

RUOLI, COMPITI E RESPONSABILITÀ
Infine c’è da tener conto delle possibili responsabilità previste in casi come questo. Com’è noto, tra i profili di responsabilità attribuibili alle aziende sanitarie locali è presente quello relativo ai danni a terzi causati dagli animali randagi, che rientra nella copertura assicurativa della responsabilità civile delle Asl.
Trattandosi di responsabilità di natura extracontrattuale, risalente principalmente all’articolo 2043 del Codice civile, l’onere di dimostrare l’effettiva colpa dell’ente cui la legge attribuisce il compito della cattura e della custodia degli animali vaganti è posto in capo al danneggiato. Ma di quale soggetto parliamo, in questo caso particolare? Si tratterà principalmente degli allevatori che subiscono le conseguenze del contagio da parte dei cinghiali che circolano allo stato brado. 
La materia è inoltre regolata dalla legge 281/1991 (legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo), che però non disciplina compiutamente a quale soggetto spetti il compito di catturare e custodire gli animali randagi. Sono le Regioni ad avere il compito di disciplinare la questione con appropriate leggi, ma nel nostro caso il Governo è intervenuto con una serie di decisioni sull’abbattimento dei cinghiali che, come abbiamo visto, sono tuttora oggetto di critiche da parte degli esperti. E dunque?
Sempre nell’ambito del Dipartimento di prevenzione delle Asl c’è poi il SIAN, il Servizio igiene degli alimenti e della nutrizione, istituito con il decreto ministeriale 185 del 16 ottobre 1998. Al suo interno esistono due aree funzionali distinte: Igiene degli alimenti e delle bevande e Igiene della nutrizione. Entrambe hanno la responsabilità di assicurare il controllo dei prodotti alimentari confezionati e somministrati nell’area di competenza, sorvegliando sui casi presunti o accertati di infezioni, intossicazioni e tossinfezioni alimentari.

QUAL È IL SOGGETTO DANNEGGIATO?
Da esse, infine, dipendono gli interventi nei settori produttivi e commerciali, in collaborazione con il Servizio veterinario, per la promozione della qualità nutrizionale, nonché le attività informative e i numeri verdi per la diffusione delle linee guida per la prevenzione.
Anche il SISP, Servizio igiene e sanità pubblica, è deputato, sempre all’interno delle Asl, al compito di provvedere alla sorveglianza epidemiologica delle malattie infettive e diffusive, predisponendo i sistemi di risposta a qualunque emergenza di origine infettiva.
Per tutti questi soggetti pubblici il perimetro di azione coinvolge ogni aspetto della salute pubblica e dovrebbe quindi includere anche quella degli animali, soprattutto se destinati alla produzione degli alimenti. Su di essi, quindi, pesa la responsabilità derivante dalla somministrazione di mangimi eventualmente infetti e dell’operato dei servizi veterinari operanti nel territorio. La questione, tuttavia, dipende ancora dall’individuazione del soggetto danneggiato, perché questa malattia, come asseriscono tutti gli esperti, colpisce solo i suini e non è trasmissibile nemmeno agli animali domestici. In pratica, gli unici soggetti in grado di registrare perdite economiche cospicue sono gli operatori del settore zootecnico suinicolo e di quello alimentare da esso direttamente dipendente. 

LE VITTIME DELL’EPIDEMIA
Si tratta di danni che in Italia possono registrare cifre da capogiro, come abbiamo visto, ma al momento sembra che le lagnanze riguardino soprattutto l’attività di controllo operata dalle autorità, al fine di gestire, con abbattimenti obbligatori spesso ritenuti indiscriminati, la diffusione dell’infezione.
È dunque possibile che alcune fattispecie di responsabilità possano ricadere sulle Asl o suoi servizi veterinari di competenza e che le stesse siano oggetto di copertura da parte delle polizze che assicurano questi enti, ma è probabilmente troppo presto per appurare, più che la portata di questo tipo di esposizione, la possibilità che dei soggetti avanzino una richiesta di risarcimento in questo senso. 
Le principali vittime dell’epidemia, finora, sono i suini e questi sono un bene di proprietà, non un soggetto giuridico. Bisognerà attendere che gli allevatori e i produttori, i cui interessi economici sono stati colpiti, provvedano a prendere posizione al riguardo.

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