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Imprese: investimenti questi sconosciuti

Si parla spesso della scarsa cultura dei consumatori italiani verso le forme assicurative e di investimento, ma il tema vale anche per le imprese poco avvezze a investire la liquidità. Parte del problema è anche a monte, nell’offerta e nella capacità di parlare al cliente

Imprese: investimenti questi sconosciuti hp_vert_img
492 miliardi di euro: a tanto ammonta a febbraio del 2021 la liquidità sui conti correnti delle imprese in Italia (fonte: Banca d’Italia).
Il dato è impressionante, ancor più se si considera che l’incremento della liquidità per le imprese nell’ultimo anno è stato di 94 miliardi di euro.
Per le famiglie, con 1.122 miliardi di euro in liquidità a febbraio 2021, l’incremento della liquidità è stato di “soli” 72 miliardi.
Si parla sempre di italiani e famiglie italiane, in realtà questa analisi ci dice che la situazione della liquidità sui conti correnti è molto più preoccupante per le imprese.
Da un lato abbiamo interi settori in grande difficoltà, dall’altro aziende che, complessivamente, detengono una liquidità in grado da sola di fare decollare l’economia.
Le imprese che tengono liquidità sui conti correnti lo fanno per due motivi. Il primo motivo è un atteggiamento prudenziale: l’89% degli imprenditori risponde che lo fa “in caso di necessità”. Pochissimi titolari d’azienda valutano gli effetti della perdita del valore del denaro, legata all’aumento dell’inflazione e del costo di alcune materie prime. 
Il secondo motivo per cui gli imprenditori tengono i soldi sul conto corrente è da ascrivere a una scarsa proattività da parte delle loro banche di riferimento. Infatti solo il 34% degli imprenditori con una liquidità superiore ai duecento mila euro sul conto corrente della propria impresa dichiara di essere stato contattato negli ultimi 12 mesi dal proprio gestore per una proposta di investimento. In altre parole, tre quarti (76%) degli imprenditori italiani non viene contattato dal gestore e quindi è lasciato a sé stesso e ai suoi errati pregiudizi.
Tra questi il più grave è che il risparmio viene erroneamente considerato come un’assicurazione in caso di necessità.
In realtà, tra gli imprenditori e le piccole e medie imprese italiane anche le assicurazioni sono totalmente sconosciute: meno del 5% ha attivato un’assicurazione sulle persone chiave in grado di compensare finanziariamente un sinistro che potrebbe mettere in difficoltà la continuità aziendale.

Lavorare sulla capacità di risposta delle compagnie
Fiumi di inchiostro vengono riversati ogni giorno sulla scarsa cultura finanziaria degli italiani, e solo qualche rigo sulla scarsissima capacità di compagnie e di banche di farsi portatrici sane di una cultura dell’investimento e della protezione.
Si parla di prodotti, di modelli di servizio, di programmazione, pianificazione, ma molto poco di persone (clienti e professionisti) da cui tutto si genera.
Perché questo avvenga è necessario che domanda e offerta vengano considerate come lo yin e lo yang, che hanno radice uno nell’altro: sono interdipendenti, hanno origine reciproca, l’uno non può esistere senza l’altro.
È necessario segmentare i clienti in base agli atteggiamenti rispetto ai temi della protezione e degli investimenti, ma soprattutto rispetto alle loro attitudini in relazione all’offerta e allo stile di proposizione commerciale dei professionisti, siano essi agenti assicurativi o dipendenti bancari.
Magari un cliente evoluto avrà bisogno di un buon esecutore, mentre un cliente timoroso e pigro di un professionista più dinamico, o magari è vero l’opposto, il tema va approfondito.
In mercati guidati dall’offerta, in ogni caso, prima di tutto bisogna che questa si attivi per risvegliare da un pericoloso torpore milioni di italiani.

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