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Algoritmo o tocco umano?

L'editoriale di Maria Rosa Alaggio, dal numero di marzo 2022 di Insurance Review

Algoritmo o tocco umano? hp_vert_img
La pandemia ha risvegliato l’importanza della relazione e ha condotto i clienti a ricercare interlocutori dal “tocco umano”, capaci di interpretare le fragilità, comprendere le incertezze, fornire risposte adeguate a un futuro dominato da incognite. Ecco perché negli ultimi due anni abbiamo assistito anche a una sorta di “rinascita” degli intermediari, che sono stati posizionati al centro dell’attenzione delle compagnie e sostenuti nei momenti più critici dell’emergenza attraverso contributi economici, strumenti commerciali ad hoc e programmi di incentivi (a volte ritenuti non adeguati, almeno stando alle rivendicazioni di alcuni rappresentanti della categoria). Nei propositi delle compagnie i termini come “dialogo” e “ascolto” delle esigenze del canale agenziale stanno assumendo sempre più un’importanza strategica che punta a potenziare il valore delle capacità relazionali e l’empatia verso il cliente: qualità che solo gli intermediari possono mettere in campo per distinguersi in un contesto distributivo basato sull’omnicanalità. Gli agenti, come noto, sono chiamati da tempo ad abbattere quelle barriere culturali che ostacolano il processo di trasformazione dell’industria assicurativa, dove la relazione con la clientela non può prescindere dalla digitalizzazione e dall’utilizzo di tecnologie evolute anche da parte delle agenzie. Quale sia il legame tra “tocco umano” e cloud computing, intelligenza artificiale o machine learning – tutte tecnologie su cui le compagnie continuano a investire – dipende dalle specifiche strategie e dai contenuti che le singole realtà intendono acquisire in termini di gestione del rischio, conoscenza del cliente, qualità del servizio, operatività e agilità nel presidio del mercato. L’impressione è che la distanza tra “algoritmo”, o meglio tecnologia in generale, e “tocco umano” si stia assottigliando sempre di più.  Pensiamo a due facce della stessa medaglia che, unite, possono oggi fare la differenza per incidere nella relazione con la clientela, rinnovare modelli di business (sia per le compagnie che per le reti agenziali), diffondere l’offerta assicurativa. Gestire e far evolvere le due facce di questa medaglia è certamente più semplice per una compagnia o per un gruppo assicurativo, ovviamente dotati di capacità di investimento e di strutture organizzative ben distanti da quelli che caratterizzano le agenzie di assicurazione. Dal canto loro, molti gruppi agenti si stanno interrogando su come riuscire a convogliare la forza delle agenzie, vale a dire la dimensione relazionale che sanno costruire, in un vantaggio competitivo in grado di sfruttare la tecnologia a favore dell’autonomia nei confronti delle mandanti. 
Le risposte a cui stanno pensando alcuni gruppi aziendali si basano su un più ampio concetto di rappresentanza, su una funzione di supporto agli agenti che vada oltre la tutela e oltre le trattative con le compagnie. L’idea di fondo è aiutare i colleghi, attraverso l’associazionismo, i consorzi e le società di servizi, a beneficiare di economie di scala, acquisire competenze, accedere a nuove tecnologie da affiancare al tocco umano che li contraddistingue. In questa ottica, parliamo di un ruolo della rappresentanza della categoria che in prospettiva potrà fornire anche maggiore sostegno nel caso in cui le compagnie dovessero tentare di creare nuovi canali di contatto diretto con il cliente o cercare di trasformare l’agenzia in una filiale territoriale. Ma questo scenario rappresenta un capitolo a parte che esprime tutta la volontà degli agenti di difendersi dal rischio disintermediazione: un terreno impervio in cui gli intermediari da sempre hanno dimostrato di saper distinguere (e far comprendere ai loro interlocutori) quale è la differenza tra il contributo dell’algoritmo e quello del tocco umano. 

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