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Il decalogo del danno alla persona

In una decisione di poche settimane fa, la Cassazione ha esteso una serie di punti che risultano essere un’utile guida nell’emissione di sentenze che riguardano il risarcimento patrimoniale e non patrimoniale del bene salute

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Le regole del nostro diritto possono essere, per così dire, scritte a più mani. 
In un mondo perfetto (ma non reale) tutte le regole sono scritte dal legislatore, che disciplina così tutti i profili di ogni singolo istituto, proponendo canoni valutativi chiari e non controvertibili e quindi applicati a tutta l’indistinta casistica di ipotesi che ricadono sotto la disciplina normativa. 
Il nostro mondo giuridico e giudiziario però non è quello predicato più sopra, fatto da una sintesi disciplinare perfetta e codificata per l’interezza delle sue fattispecie possibili, bensì si presta a una diversità di valutazioni e di orientamenti, spesso indotti proprio da leggi non sempre lineari e logiche ovvero, diversamente, dalla varietà degli istituti giuridici che regolano ogni singola disciplina del diritto, civile o penale. 
Non fa certamente eccezione in questa considerazione la materia del danno alla persona e della sua regolamentazione dogmatica e giuridica. 

Il diritto vivente nel sistema risarcitorio
In effetti le leggi che oggi disciplinano questa complessa e articolata materia non si distinguono per essere particolarmente efficaci sul piano disciplinare e dispositivo e, per tale ragione, da sempre la giurisprudenza ha svolto una funzione per così dire suppletiva e compensativa dei vuoti e delle incongruenze legislative. 
Si parla in questo caso comunemente di diritto vivente, intendendo quello che, appunto, non origina da una norma dispositiva ma bensì dalla interpretazione che la giurisprudenza dà alla stessa ovvero pone come regola in assenza della norma regolatrice. 
Nella nostra storia giudiziaria legata alla materia del risarcimento del danno alla persona si sono via via nel tempo registrate sentenze che, a diverso titolo, costituiscono i capisaldi del nostro sistema risarcitorio e di tutela del bene salute.  
Si va dalle storiche decisioni degli anni Ottanta, che furono di fatto il manifesto del danno biologico tenuto a battesimo in quegli anni, alle più recenti sentenze rese dalle Sezioni Unite della Cassazione a regolare la complessa materia (le note decisioni del 2008, ribattezzate di “San Martino” per essere state emanate nel giorno della festività del santo). 
Una recentissima decisione della corte di Cassazione è stata l’occasione per il collegio (presieduto proprio da uno dei padri del diritto vivente, il dott. Giacomo Travaglino) e per il suo estensore (l’altrettanto noto e raffinato giurista dott. Marco Rossetti) per fornirci un vero e proprio prontuario del danno alla persona, con particolare riferimento agli istituti giuridici risarcitori, al loro contenuto e alle metodologie di determinazione del compenso per il ristoro del bene leso. Si tratta di una sorta di ripasso, per così dire, che però ha l’enorme pregio di rendere chiari i profili primari dell’istituto in argomento e, quindi, di darci una sorta di regolamento del danno secondo i giudici del supremo collegio.

Le linee guida da seguire nel giudizio
Vale la pena, dunque, di rileggere tali passaggi di questo decalogo e schema di lavoro, perché espresso finalmente in modo chiaro e lineare, con l’auspicio che possa costituire uno strumento di lavoro idoneo a evitare quella confusione e quei contrasti interpretativi che alimentano la gran parte del contezioso in materia. 
Tali regole possono essere riassunte ed esposte (per semplicità di lettura) come segue: 

  1. L’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni: quello patrimoniale e quello non patrimoniale.
  2. Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non fenomeno logicamente) unitaria.
  3. Per categoria unitaria si intende che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ai medesimi criteri risarcitori (articoli 1223, 1226, 2056, 2059 C.C.).
  4. Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito e, dall’altro, evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.
  5. In sede istruttoria, il giudice deve procedere a un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito.
  6. In presenza di un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).
  7. In presenza di un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale e affatto peculiari. 
  8. In presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione).
  9. Ove sia correttamente dedotta e adeguatamente provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, a titolo di danno morale.
  10. Il danno non patrimoniale non derivante da una lesione della salute, ma conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati, va liquidato, non diversamente che nel caso di danno biologico, tenendo conto tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con se stessa (la sofferenza interiore e il sentimento di afflizione in tutte le sue possibili forme, id est il danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. 
Uno schema riassuntivo insomma del nostro più attuale e recente diritto vivente, da usare e tramandare come sintesi e strumento primario per tutti gli addetti ai lavori.

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