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Consenso informato e fine vita: cosa dice la norma

Seconda parte - Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo relativo alla legge 219/17 apparsa questo mese in Gazzetta Ufficiale. Dopo aver descritto gli ambiti dell’informazione completa al paziente, si trattano qui i casi di rifiuto, delega, e diritti di minori o incapaci, nonché quanto prescritto sul danno relativo al tema trattato

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Altra novità di grande rilievo della legge è data dalla previsione di un vero e proprio diritto per il paziente di rifiutare di ricevere (in tutto o in parte) le informazioni, in pratica un diritto a “non conoscere” il proprio stato di salute.
In particolare, ogni persona “può rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.
La particolarità di questa norma è che il paziente, avvalendosi di questo diritto, può anche delegare altri per ricevere dette informazioni. In questi casi particolari, la norma ammette che la persona designata per ricevere le informazioni possa “esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole”. In altre parole, si verificherebbe l’ipotesi in cui una terza persona scelga per la salute dell’altra senza che questa nemmeno conosca il proprio stato di salute.

Dovere di informazione
Il nono comma dell’art. 1 statuisce che “ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale”.
A tale ultimo proposito, d’altro canto, il decimo comma dell’art. 1 ricorda espressamente che “la formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative”.

Il consenso informato per minori e incapaci
L’art. 3 della legge 219/2017 è dedicato integralmente alla questione del consenso informato dei pazienti minori di età o incapaci.
La persona minore di età o incapace, infatti, “ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all’articolo 1, comma 1”. In particolare, “deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”.
Il legislatore divide allora l’ipotesi dei minori da quella delle persone incapaci.
Per quanto concerne i minori, il consenso informato al trattamento sanitario del minore dovrà essere “espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.
Per quanto riguarda invece le persone incapaci, si dovrà distinguere:
la persona interdetta ai sensi dell’articolo 414 del Codice Civile: in questo caso il consenso informato sarà “espresso o rifiutato dal tutore, sentito l’interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità”;
la persona inabilitata: in questo caso, il consenso informato sarà espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato sarà “espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”.

La terapia del dolore e il finale della vita

L’art. 2 della legge 219/2017 prevede il dovere esplicito per i medici, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, di “adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38”.
Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, inoltre, “il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente”.
Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua, o il rifiuto della stessa, dovranno essere “motivati e annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.

Gli ambiti del danno
La legge 216/2017, pur avendo normato l’obbligo del consenso informato, nulla ha scritto circa le conseguenze risarcitorie che può comportare la violazione da parte del sanitario dell’obbligo di informazione. A tale proposito, pertanto, vale oggi quanto sin qui elaborato dalla giurisprudenza, che ricorre al principio equitativo (vedi in proposito il lavoro svolto dal Gruppo Sette di Danno a Milano).
La correttezza o meno del trattamento, peraltro, non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, che costituisce autonoma fonte di responsabilità, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del fatto, la quale sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione non è stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni (Cass. 14/03/2006 n. 5.444; in senso conforme Cass. 24/09/1997 n. 9.374 e Cass. 19/04/2006 n. 9.085).
Si può dunque verificare una “responsabilità da lesione della salute pur sussistendo il consenso consapevole, se la prestazione terapeutica è stata inadeguatamente eseguita, oppure una lesione del diritto all’autodeterminazione senza che vi sia stata una lesione del diritto alla salute, come accade quando manchi il consenso ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo” (Cass. 09/02/2010 n. 2.847). Nel primo caso, “il consenso è irrilevante”. Nel secondo caso, “la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori benché non sussista lesione della salute o la lesione della salute non sia causalmente collegabile alla lesione di quel diritto, quante volte siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in se stesso considerato”. 

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