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La clausola vessatoria nel diritto all’indennizzo

Le limitazioni che determinano la non trasmissibilità agli eredi del beneficio conseguente a sinistro devono essere redatte in maniera da non rischiare il giudizio di condizioni persecutorie

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I recenti orientamenti giurisprudenziali mostrano una maggiore attenzione alla posizione del contraente quale parte debole del contratto assicurativo. Tale tutela viene ribadita per le clausole che riguardano le modalità di trasmissione dell’indennizzo eventualmente dovuto al contraente/beneficiario.
Recentemente, il tribunale di Napoli ha sancito la vessatorietà della clausola di intrasmissibilità del diritto all’indennizzo in favore degli eredi dell’assicurato che sia deceduto prima della concreta liquidazione dell’indennità stessa (Tribunale, Napoli, sez. XII civile, sentenza 12/09/2016 n° 9816).

Un giudizio di clausola nulla
La clausola della polizza assicurativa sottoscritta dalla defunta così recitava: “Il diritto all’indennizzo per invalidità permanente è di carattere personale e quindi non trasmissibile agli eredi. Tuttavia, se l’assicurata muore dopo che l’indennizzo sia stato liquidato o comunque offerto in misura determinata, la società paga l’importo liquidato od offerto in parti uguali agli eredi”.
Secondo il tribunale partenopeo la clausola de qua, essendo vessatoria per il contraente assicurato, deve essere considerata nulla in ossequio al disposto sancito dall’art. 36, 1° comma, del Codice del Consumo.
Si sottolinea, altresì, che la sentenza del tribunale di Napoli si distingue non solo per le conseguenze che attribuisce alla declaratoria di vessatorietà, ma anche perché, ispirandosi a un orientamento già affermato in sede di legittimità, accoglie gli assunti in materia di quantificazione dell’importo complessivo da liquidarsi agli eredi dell’assicurato defunto.
Assolvendo una funzione reintegratoria della perdita subita del patrimonio dell’assicurato, l’importo complessivamente dovuto avrà, pertanto, natura di debito di valore, con la conseguenza che dovrà essere necessariamente rivalutato con riferimento al periodo intercorso tra il sinistro e la liquidazione.

Il tempo sospeso tra denuncia e liquidazione
Ma consideriamo più nel dettaglio le evoluzioni conseguenti alla sentenza in esame. Nel caso di specie, la vicenda ha visto la compagnia assicurativa negare agli eredi dell’assicurata (la quale aveva stipulato una polizza infortuni, malattia e assistenza) la liquidazione dell’indennizzo conseguente alla morte della loro dante causa. Tutto ciò, sulla base della considerazione che, secondo le difese della compagnia convenuta in giudizio, la polizza de qua riconosceva esclusivamente all’assicurata (e non quindi ai suoi eredi) la liquidazione dell’indennizzo nell’ipotesi di infortunio e/o malattia che avesse come conseguenza la morte, un’invalidità permanente o un’inabilità temporanea, stante il carattere assolutamente personale e intrasmissibile del diritto all’indennizzo ai sensi delle condizioni generali.
Tuttavia occorre rilevare che, pochi mesi prima della scadenza della polizza, l’assicurata aveva già provveduto a denunciare alla compagnia assicurativa il sinistro (essendo venuta a conoscenza di essere affetta da un adenocarcinoma) mediante apposita missiva e che, pertanto, il diritto all’indennizzo era maturato quando l’assicurata era ancora in vita.
Al momento del decesso, gli eredi avevano quindi provveduto a rivendicare tempestivamente la liquidazione delle indennità maturate in vita dalla loro dante causa, delle quali, alla data del decesso, non era stato ancora disposto il pagamento dalla compagnia assicuratrice. La richiesta, come detto, veniva respinta dalla società assicuratrice sulla motivazione che il diritto all’indennizzo era da considerarsi personale e, pertanto, intrasmissibile.

Si afferma il diritto del consumatore
Il tribunale di Napoli ha ritenuto di accogliere le richieste degli eredi, ritenendosi applicabile l’art. 33 del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo), dal momento che si trattava di un contratto stipulato fra consumatore e professionista.
Orbene, secondo il tribunale nel caso di specie ricorrevano entrambe le ipotesi di cui ai punti d) (“prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà”) e v) “prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati a una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore” dell’art. 33, considerato che, a fronte dell’impegno definitivamente assunto dal consumatore di adempiere le obbligazioni nascenti a suo carico dalla sottoscrizione del contratto, l’obbligo della compagnia assicurativa di erogare l’indennizzo ai suoi eredi era subordinato a una condizione il cui adempimento dipendeva esclusivamente dalla volontà della compagnia stessa. Per tal motivo la clausola doveva considerarsi vessatoria.
Ispirandosi a un orientamento ormai consolidato in sede di legittimità (cfr. Cassazione Civile, sez. III, sentenza 11/01/2007, n. 395), il Tribunale di merito campano ha qualificato vessatoria la clausola de qua.

Insistere sulla chiarezza della clausola
Alla luce delle considerazioni svolte, ciò che si intende in tal sede rilevare è l’assoluto rigore sanzionatorio dimostrato dagli organi giudiziari in tema di clausole vessatorie. Onde evitare censure così drastiche, risulterà quindi di fondamentale importanza per le compagnie assicurative apprestare una particolare attenzione nella formulazione delle clausole, non solo in fase redazionale, ma principalmente all’atto di sottoscrizione delle polizze assicurative.
Sarà, pertanto, opportuno che clausole con una portata così specifica siano redatte sempre utilizzando la massima chiarezza e attenzione e che vengano, in ogni caso, sottoposte a una procedura di approvazione specifica per iscritto (c.d. doppia sottoscrizione), nel pieno rispetto della disciplina codicistica dettata per le fattispecie come quella in questione.
In tal modo, sarà più agevole per la compagnia assicurativa eccepire, in sede di giudizio, l’operatività delle clausole in questione, evitando così risvolti sanzionatori.

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