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Attenzione alle clausole a secondo rischio

La garanzia assicurativa integrativa deve risultare da un contratto che coincida completamente con la polizza base per contraente, tipologia della copertura e assicurato

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Nel settore delle assicurazioni per Responsabilità civile, si è registrata negli ultimi anni la tendenza a munirsi, congiuntamente alla polizza per Responsabilità civile obbligatoria, di formule ulteriori di garanzia assicurativa contenenti le cosiddette clausole a copertura del secondo rischio.
 La finalità primaria di questa tipologia di polizze è quella di prevedere l’attivazione della garanzia assicurativa solo dopo che sia stato consumato il limite della polizza a primo rischio (polizza base).
Tuttavia, una tale peculiarità nel settore assicurativo è stata oggetto di esame da parte dei giudici di merito e di legittimità. Con una recente sentenza (Cass. Civ. sez. III, sentenza 4936 del 12 marzo 2015) la Corte di Cassazione ha inteso chiarire la natura delle clausole in questione.

Un esempio di Rc sanitaria

Nel caso di specie, una paziente, costretta a subire un intervento chirurgico di urgenza a seguito di una serie di complicanze derivate da un esame di routine ascrivibili, a suo dire, esclusivamente ai medici sanitari della struttura privata presso cui si era rivolta, conveniva in giudizio la casa di cura privata, la quale a sua volta chiamava in causa il medico responsabile dell’esame (si badi bene, non dipendente della struttura) e il proprio assicuratore della responsabilità civile.
La sentenza di primo grado, che accoglieva la richiesta di parte attrice nei confronti della casa di cura condannando la compagnia a coprire il danno, veniva appellata dalla compagnia, sulla circostanza che il contratto stipulato con la clinica privata non contemplasse la copertura per la responsabilità derivante dal fatto illecito dei medici non dipendenti della medesima sino al massimale stabilito nella polizza e che, trattandosi di un danno inferiore all’importo pattuito, non fosse dovuto alcun indennizzo da parte dell’assicurazione. La Corte d’appello accoglieva il motivo di impugnazione, dovendo ricadere, a suo parere, l’obbligo indennitario esclusivamente sulla struttura sanitaria.

Per chi conta la Rc
I giudici ermellini, su ricorso della struttura sanitaria, con la sentenza del 2015 hanno però cassato il giudizio della Corte d’appello, la quale avrebbe erroneamente interpretato la lettera del contratto, oltre a non considerare correttamente la natura delle clausole a secondo rischio.
Secondo la Suprema Corte l’assicurazione di responsabilità civile stipulata “per conto proprio” coprirebbe il rischio di impoverimento del contraente; quella “per conto altrui”, invece, il rischio di impoverimento di “persone diverse dal contraente”, a prescindere dal fatto che quest’ultimo debba rispondere del loro operato. In tali casi, dunque, il rischio coperto sarebbe lo stesso, ma diverso sarebbe “l’interesse” assicurato.
La distinzione tra assicurazione “per conto proprio” e assicurazione “per conto altrui” non andrebbe confusa tuttavia con quella tra assicurazione della responsabilità civile “per fatto proprio” e assicurazione della responsabilità civile “per fatto altrui”. In quanto operanti su piani distinti, andando a coprire rischi diversi.
Alla luce di dette considerazioni, la Corte, discostandosi dal solco tracciato dalla Corte d’appello, hanno dunque stabilito che una polizza di assicurazione potrà operare in eccesso rispetto ad un’altra garanzia assicurativa solo nel caso in cui i due contratti garantiscano il “medesimo rischio”.

Il secondo rischio vale sul medesimo contratto

Orbene, se un medico operante all’interno di una struttura sanitaria ha stipulato un’assicurazione personale, questa non può che coprire la propria responsabilità civile, stante il rischio di depauperamento del patrimonio del medico stesso; l’assicurazione stipulata dalla clinica, invece, coprirà il rischio di depauperamento del patrimonio della struttura sanitaria. Pertanto, ci si troverà di fronte a due contratti completamente diversi, stante la diversità sia dei rischi garantiti sia dei soggetti assicurati. Ne consegue, a dire della Suprema Corte, che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non potrà mai operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici, perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti.
Dunque, i due contratti sono diversi, i due rischi sono diversi, i due assicurati sono diversi, e nulla rileva che tanto la responsabilità della clinica, quanto quella del medico, possano sorgere dal medesimo fatto illecito, che abbia causato in capo al terzo il medesimo danno.
Se due contratti di assicurazione garantiscono rischi diversi, non può mai sussistere per definizione né una coassicurazione, né una assicurazione plurima, né una copertura a secondo rischio. Così, ad esempio, una assicurazione contro l’incendio non potrebbe mai operare in eccesso rispetto ad una contro il furto. Per contro, l’assicurazione contro l’incendio stipulata dal locatore ben potrebbe operare in eccesso rispetto all’identica assicurazione stipulata dal conduttore per conto altrui, e quindi coprire i danni non coperti da quest’ultima polizza.

L’informativa deve chiarire
In questo excursus, la Cassazione ha concesso di certo un imprimatur significativo alle interpretazioni più evolute in tema di predisposizione di soluzioni assicurative alternative.
Inter alia, si rileva che la giurisprudenza recente, chiarendo come la clausola “a secondo rischio” debba comunque essere redatta in modo chiaro ed efficace, si è mostrata particolarmente sensibile alle esigenze del cosiddetto contraente debole. Ecco, quindi, che sembra opportuno rifarsi ai più comuni canoni di chiarezza e trasparenza, in particolar modo in fase di informativa e stipula contrattuale, avendo cura di chiarire come operi la clausola a secondo rischio e pensare, semmai, a intervenire con due appendici o contratti distinti per coprire eventuali rischi distinti.
In difetto di tali requisiti, la clausola verrà interpretata sempre a favore del contraente, secondo i canoni di ermeneutica tradizionali (Cass. Civ. sez. III, 11819 del 9 giugno 2016).

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