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Acque ancora mosse per la claims made

Nonostante la legittimità della clausola sia stata definitivamente confermata con l’inserimento nella legge Gelli, nuove sentenze riaprono la questione della sua compatibilità con il sistema normativo italiano, nel caso in questione per un supposto vantaggio dato all’assicuratore

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La oramai antica controversia sulla legittimità e sulla ammissibilità nell’ordinamento della clausola assicurativa delimitativa della disciplina temporale della copertura (altrimenti diffusamente nota come claims made) non pare avere pace, né approdo in un orientamento condiviso.
Non sono bastati anni di complesse e diversificate decisioni rese a ogni grado di giurisdizione; neppure sono serviti scritti dottrinali dai più diversificati contenuti; nemmeno un principio dalla valenza nomofilattica resa dalla nota decisione delle Sezioni Unite della Cassazione nella decisione n. 9140 del 2016, e neanche, da ultimo, il pronunciamento cogente del legislatore (art. 11 della legge n. 24 del 2017, altrimenti nota come legge Gelli-Bianco).
La teoretica della contrarietà ideologica e interpretativa alla clausola in argomento trova nuova linfa, un po’ inaspettatamente, in due recenti decisioni gemelle, appena pubblicate dalla Corte di Cassazione (sez. III, nn. 10506 e 10509, entrambe del 28 aprile 2017, pres. Travaglino, rel. Rossetti) le quali si propongono nuovamente di sparigliare una realtà che appariva solo da poco pacificata.
Le due decisioni affrontano l’annosa questione della legittimità (ora riletta in chiave di meritevolezza, attingendo al pronunciamento di cui alla citata sentenza n. 9140/2016) di una clausola claims made che aveva portato a escludere la copertura assicurativa sul presupposto che la prima richiesta danni (e la conseguente denuncia dell’assicurato) fossero intervenuti successivamente alla cessazione della polizza per il naturale decorrere del termine di estinzione del contratto.

I nuovi dubbi sulla legittimità della clausola
La decisione (che porta all’affermazione di illegittimità della clausola e alla conseguente validità della copertura a discapito dell’estinzione intervenuta del vincolo contrattuale) si basa su una massima a dir poco sorprendente:
“La clausola c.d. claim’s made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un’azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall’assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell’assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma secondo, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell’assicuratore, e pone l’assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.
A detta dei giudici del collegio, le ragioni di illegittimità della clausola risiederebbero in ben tre considerazioni:
In primo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto attribuisce all’assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita. Tale clausola infatti ridurrebbe il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto. È infatti praticamente impossibile che la vittima d’un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne il risarcimento illico et immediate al responsabile.
In secondo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela, in quanto pone l’assicurato in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra.
In terzo luogo, la clausola claim’s made che escluda le richieste postume appare immeritevole di tutela in quanto può costringere l’assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.
Tale argomentare ci pare anacronistico e frutto quasi di un preconcetto ideologico di contrarietà a prescindere, e di avversità epidermica alla clausola pur di larghissimo uso commerciale.
Ne sia esempio il seguente passaggio logico della decisione: “La clausola in esame infatti, elevando la richiesta del terzo a “condizione” per il pagamento dell’indennizzo, legittima l’assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia mancata: con la conseguenza che se l’assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l’assicuratore potrebbe rifiutare l’indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all’assicurato, sicché è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell’assicuratore”.
Questo passaggio (come le tre considerazioni che precedono) tradiscono l’assenza di ogni volontà di comprendere l’essenza stessa della condizione in argomento.

Una decisione in contrasto con l’indirizzo accolto
La clausola claims made, proprio come affermato dalla stessa sentenza n. 9140/2016, consente di sposare il momento dell’insorgenza della controversia con l’esistenza di una copertura di attualità e si distingue per questa ragione dalla diversa struttura della loss occurrance.
Pretendere che una clausola claims made copra tanto il periodo retroattivo alla stipula della polizza quanto quello successivo alla sua estinzione, di fatto genera un’incongruenza tanto più insostenibile quanto illogica, facendo assieme scempio della stessa volontà negoziale delle parti e del rapporto sinallagmatico tra premio versato e rischio assunto.
La clausola claims made nasce per la copertura del rischio passato e si pone in antitesi alla struttura di cui all’art. 1917 c.c. avendo oggi pienezza normativa di validità e persino, oramai, tipicità nel riconoscimento che il legislatore ha voluto attribuirgli, con buona pace dei suoi indefessi detrattori.
Le sentenze qui riferite appaiono così anacronistiche e persino contrarie a principi normativi, ove si consideri che l’articolo 11 della recentissima legge Gelli ha ammesso e definitivamente sdoganato la clausola claims made prevedendo esclusivamente un obbligo di adeguata retroattività, senza alcuna necessità di un’estensione postuma, a eccezione della ipotesi di cessazione definitiva della attività professionale.
Si ritiene dunque che queste decisioni, estranee anche per data di estensione antecedente alla promulgazione della legge, non possano più trovare adesione pratica nel mondo assicurativo e interpretativo che verrà, tanto nel contesto specifico disciplinare della legge Gelli (la responsabilità sanitaria) quanto in ogni altra disciplina di assicurazione della Rc professionale, alla luce della chiara indicazione normativa ben estendibile per analogia a ogni diversa disciplina della Rc professionale nel nostro ordinamento.

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