Insurance Trade

I nuovi obblighi assicurativi previsti dalla legge Gelli

Il nuovo dispositivo mira a mutare radicalmente l’assetto della responsabilità medica nel nostro Paese, introducendo alcune novità significative in grado di imprimere un potente contraccolpo sia sul piano giuridico sia in ambito assicurativo (SECONDA PARTE)

Watermark vert
Non deve sorprendere che tante compagnie italiane abbiano rinunciato a sottoscrivere rischi legati all’Rc medica: i cattivi andamenti tecnici, unitamente alla continua contrazione del numero di operatori attivi in questo mercato, hanno determinato un aumento tangibile dei premi di assicurazione.
È evidente come da un fenomeno tanto ampio, che investe un settore così rilevante della società, possa derivare una cospicua elaborazione giurisprudenziale. Basti pensare che le massime in materia di responsabilità medica, inserite nell’archivio Italgiure della Corte di Cassazione, sono state 60 nel periodo compreso tra il 1942 e il 1990 e 201 dal 2001 al 2011.
Anche sul piano politico, sulle tracce di analoghe esperienze fatte all’estero, gli interventi del legislatore hanno a più riprese cercato di ricondurre la gestione della responsabilità medica in un alveo più governabile, affrontandone i nodi più significativi, come nel caso della legge 189 del 2012, nota come legge Balduzzi.
Una menzione particolare, a questo proposito, merita l’istituzione dell’obbligo ivi previsto di stipulare una polizza di assicurazione, con entrata in vigore al 15 agosto 2013, poi prorogata al 14 agosto 2014. Tale disposto non era previsto per i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, per i quali la struttura sanitaria di appartenenza era tenuta a stipulare una polizza limitata alla sola copertura della colpa lieve.
Per loro, quindi, si poneva l’esigenza, ma non vi era obbligo specifico, di contrarre un’assicurazione a copertura della colpa grave. Inoltre, in attesa dei relativi decreti attuativi, molti Ordini professionali suggerivano che la mancata stipula della polizza non fosse sanzionabile come violazione degli obblighi disciplinari e che, dunque, non vi sarebbe stata ancora la necessità di contrarre un’assicurazione neppure per i medici liberi professionisti.
L’intervento del legislatore
Oggi, con l’intento di porre ordine in un sistema troppo vagamente regolato, l’articolo 10 della legge Gelli impone inequivocabilmente a tutte le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, di essere provviste di adeguata copertura assicurativa, “o di altre analoghe misure”, per l’assicurazione della responsabilità civile verso terzi e prestatori d’opera, anche a copertura dei danni cagionati dal personale operante a qualunque titolo, inclusi gli operatori sanitari praticanti in regime di libera professione intramuraria o in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina.
Quest’obbligo permette, finalmente, di adeguare la nostra normativa a quella in vigore nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, ma permane qualche perplessità circa l’espressione “altre analoghe misure” utilizzata dalla legge.
Appare evidente come venga qui fatto riferimento a quelle strutture, soprattutto pubbliche, che operano in regime di autoassicurazione, gestendo in proprio un’attività che sarebbe altrimenti soggetta a precise regole, dettate dalle competenti Autorità per garantire la copertura finanziaria e il rispetto dei diritti dell’assicurato e del paziente-consumatore.
Le compagnie di assicurazione operano all’interno di un universo economico molto strutturato, i cui cardini, basati sulle normative internazionali note come Solvency, definiscono i meccanismi tecnici legati all’apposizione delle riserve e al margine di solvibilità indispensabile per potere operare.
Si tratta di procedure assai rigide, che nulla hanno a che vedere con la contabilità per cassa adottata dagli enti statali che, per inciso, gestiscono il rischio clinico con denari pubblici, con gravi riflessi anche sul piano della responsabilità amministrativa.

Autoassicurazioni che non lo sono
Come si è visto, inoltre, i sinistri da responsabilità medica sono caratterizzati da un lungo sviluppo, tanto che gli importi riservati al momento della loro rubricazione subiscono variazioni molto sensibili fino al momento del loro effettivo pagamento. Gli assicuratori, quindi, devono tener conto di come ciascun sinistro si svilupperà fino al momento in cui sarà effettivamente pagato e mettere a riserva il capitale necessario, o al momento opportuno non avranno abbastanza denaro per fronteggiare tutti i sinistri maturati per ogni rischio sottoscritto.
Gli enti pubblici, invece, ragionano sulla base di una contabilità che tiene conto solo degli importi pagati e riservati anno per anno, il che è certamente pericoloso, perché le riserve così considerate rischiano di risultare gravemente insufficienti, rispetto agli importi che saranno effettivamente pagati a distanza di anni.
È per questo che gli ospedali ritengono sempre di pagare un prezzo eccessivo per le loro polizze: maggiore è la durata di vita del sinistro e più forte sarà il disallineamento tra quello che l’ospedale pensa di dover pagare, rispetto a quanto l’assicuratore sa di dover pagare.
L’attività svolta da tali strutture non è dunque tecnicamente definibile come analoga a una copertura assicurativa: non di autoassicurazione si dovrebbe quindi parlare, ma di non assicurazione.
In quest’ottica, la legge prevede ora l’istituzione, nel bilancio delle strutture, “di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati”. In pratica, le strutture che volessero ancora operare in autoassicurazione dovranno gestire il rischio come lo farebbe una compagnia di assicurazioni, e non più attraverso una contabilità di tipo tradizionale. Il tempo ci dirà se l’obbiettiva difficoltà a gestire sistemi finanziari diversi incoraggerà questi ospedali a tornare a un’attività tradizionale di trasferimento del rischio a favore delle compagnie di assicurazione.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

👥

I più visti