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I nuovi obblighi assicurativi previsti dalla legge Gelli

Il nuovo dispositivo mira a mutare radicalmente l’assetto della responsabilità medica nel nostro Paese, introducendo alcune novità significative in grado di imprimere un potente contraccolpo sia sul piano giuridico sia in ambito assicurativo (PRIMA PARTE)

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Si è molto discusso sui motivi che hanno provocato l’abbandono del mercato italiano della Rc medica da parte di un gran numero di assicuratori e della scarsa sostenibilità tecnica che si colloca alla base di tale decisione, ma è necessario tener conto che questo fenomeno non rappresenta un fatto nuovo nello scenario internazionale. Nel corso degli ultimi decenni, in altri Paesi del mondo si è registrato un marcato aumento del numero dei sinistri denunciati per malpratice medica e dell’importo medio dei risarcimenti richiesti, al punto da determinare l’abbandono degli assicuratori locali e l’aumento indiscriminato dei premi di polizza, fino a rendere necessario l’intervento dello Stato per tentare di ridefinire un equilibrio sociale posto gravemente a rischio.
Questo fenomeno, pur se attinente sistemi giuridici assai diversi, come quelli di Stati Uniti, Francia e Regno Unito, ha evidenziato aspetti comuni.

Le similitudini di sistemi diversi
In ognuno di questi Paesi si è assistito all’affermarsi nel tempo di un’interpretazione della responsabilità medica con caratteri sempre più marcati di strict liability o responsabilité quasi sans faute (equivalenti alla nostra responsabilità oggettiva) che, combinata con elementi tipici della giurisprudenza locale, come l’istituto dei Punitive damages, l’ampiezza dei termini di decadenza e l’elevato ammontare dei risarcimenti per i danni alla persona, ha comportato un netto peggioramento degli andamenti tecnici delle coperture assicurative e il conseguente aumento dei premi di polizza. Il profondo impatto generato da questo fenomeno su un settore altamente qualificato e socialmente rilevante, com’è quello della sanità pubblica, ha quindi determinato l’intervento del legislatore, con provvedimenti volti a ridurre i termini di prescrizione e porre un freno all’ammontare dei risarcimenti riconosciuti per i cosiddetti non economic damages (i danni non patrimoniali), grazie ai quali è stato possibile ricondurre la responsabilità medica a livelli decisamente più gestibili.
Nel Regno Unito e in Francia, dove sono in vigore sistemi di tipo pubblico come il nostro, lo Stato si è fatto carico di una parte consistente dei costi della responsabilità medica, mediante la costituzione di appositi fondi: il Clinical negligence scheme of trusts in Uk e l’Office national d’indemnisation des accidents médicaux in Francia. Tali istituzioni si occupano di risarcire i danni causati da errore clinico, sulla base di procedimenti probatori per lo più a carico del danneggiato e generalmente imperniati sul principio della Vicarious liability (letteralmente, responsabilità per fatto altrui).
La colpa medica, in pratica, non può essere attribuita direttamente al medico, ma ricade sulla struttura per cui lavora, in particolare se questa è pubblica.
Mentre nel Regno Unito la copertura di tutti i professionisti aderenti al servizio sanitario nazionale è interamente a carico della corona, in Francia, l’Office national d’indemnisation des accidents médicaux opera per tutti i danni al di sopra della soglia del 24% di invalidità e per quelli causati da infezioni del sangue, vaccinazioni obbligatorie e infezioni nosocomiali.
La restante parte è gestita per il tramite di una copertura assicurativa obbligatoria per tutti i soggetti, siano essi strutture o individui, ed è previsto l’obbligo a contrarre per gli assicuratori.

La crisi della responsabilità medica in italia
Nel nostro Paese, la scarsa sostenibilità economica del sistema assicurativo della Rc medica è stata ampiamente illustrata dall’Ania nell’ormai noto studio sull’andamento di questo ramo a partire dal 1994.
Per quanto influenzata dalla progressiva uscita dal mercato di numerose imprese italiane a favore di assicuratori europei operanti in libertà di stabilimento o libera prestazione di servizi (che non forniscono all’associazione informazioni sullo stato dei loro portafogli), la rilevazione consente agli addetti ai lavori di monitorare un campione statistico abbastanza significativo e risulta di grande aiuto per comprendere l’evoluzione di questa classe di rischi in Italia.
Secondo lo studio, i premi stimati su un campione d’imprese attive nel ramo della Rc generale per l’esercizio 2014, pari al 47% del totale, ammonterebbero a 552 milioni di euro, ripartiti al 50% tra le polizze stipulate dalle strutture sanitarie e quelle acquistate dai professionisti del settore.
Il tasso medio di crescita dei premi relativi al decennio 2004-2014 si attesta al 5,2%, dimostrando come l’ammontare complessivo del portafoglio sia cresciuto a un ritmo superiore rispetto agli altri rami assicurativi, continuando ad attirare operatori stranieri, a fronte di un disimpegno sempre più marcato da parte di quelli locali. L’esame degli andamenti tecnici, tuttavia, rivela la presenza di una serie di fattori determinanti per la sopravvivenza stessa degli assicuratori nostrani.

I quattro fattori chiave
Il primo riguarda l’aumento del numero dei sinistri denunciati negli anni di generazione più maturi (quelli, cioè, per i quali non ci aspettiamo più variazioni significative, a causa dell’apertura di sinistri tardivi). Con poche eccezioni, il numero totale degli eventi dannosi si è effettivamente mantenuto piuttosto elevato, attestandosi in media oltre i 30 mila sinistri all’anno.
Il secondo fattore attiene alla durata dei sinistri. Lo studio rileva come il numero di sinistri liquidati nelle generazioni più recenti sia piuttosto basso, in quanto sono ancora incerte sia l’effettiva responsabilità dell’assicurato sia l’entità del danno. L’ammontare dei casi chiusi, invece, cresce distintamente col crescere dell’anzianità dei sinistri stessi, attestandosi su valori superiori al 90% per quelli con oltre dieci anni di vita. Occorre quindi un numero elevato di anni per definire le controversie giudiziarie che scaturiscono da questo tipo di danni, il che dimostra come il cosiddetto effetto long tail, comune a molte categorie di assicurazioni per la responsabilità civile, raggiunga in questo caso dimensioni particolarmente significative: l’1,6% dei sinistri generati nel 1994, ad esempio, deve ancora essere chiuso, a distanza di vent’anni.
Il terzo fattore è determinato dall’elevato costo medio di questo tipo di sinistri e dal loro sviluppo nel tempo. A causa della loro complessità e dell’insufficienza di informazioni disponibili al momento della denuncia, la prima valutazione del sinistro fatta dalle compagnie risulta in molti casi sottostimata. A ciò si aggiunge l’incertezza nella quantificazione del danno, dovuta alla costante evoluzione degli orientamenti giurisprudenziali che caratterizza il nostro Paese, il tutto riparametrato per la lunga durata di cui abbiamo parlato.
Ultimo, e più lampante fattore, quello del rapporto tecnico, ovvero del rapporto sinistri/premi, che indica in percentuale e per ciascun anno di generazione, l’ammontare pagato o riservato per sinistri, rispetto al corrispondente importo di premi incassato. Tale elemento è rappresentativo del complesso di tutti i fattori precedentemente indicati, essendo determinato proprio dalla forte crescita del costo dei risarcimenti e dal numero elevato di denunce che le imprese registrano da un anno all’altro. L’analisi dell’Ania denuncia in questo caso risultati particolarmente negativi e rivela come in nessun momento, per tutto il corso dello studio, le imprese di assicurazione si siano anche solo avvicinate a pareggiare i costi con i ricavi.

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