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La responsabilità dell’avvocato non dipende dal risultato

Di fronte alla tendenza a chiamare in causa l’avvocato nel momento in cui il risultato del procedimento non sia quello sperato, una sentenza del Tribunale di Roma precisa che la responsabilità è attribuibile al legale solo nel caso in cui vi sia una discreta probabilità che dalle possibili omissioni, derivi un danno al cliente

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Il contenzioso civile legato alla (supposta) responsabilità professionale degli avvocati, per omessa adozione della diligenza qualificata nella cura degli interessi del cliente ha, nel nostro Paese, una sua casistica costante, e presenta un buon numero di vicende giudiziarie che interessano i tribunali dello Stato.
Una bella sentenza resa dal tribunale di Roma (n. 1424 del 21 gennaio scorso) consente di fare il punto sulla disciplina giuridica di questo settore della responsabilità civile, in una professione intellettuale tra le più diffuse in Italia.
In questa vicenda, l'attore citava in giudizio il proprio ex avvocato assumendo di avere perso la possibilità di richiedere il rimborso di una quota di un tributo in una vertenza ereditaria a causa della prescrizione del diritto, intercorsa per errore professionale dell'avvocato convenuto.
Il giudizio promosso dal proprio legale si era, infatti, concluso con il rigetto della domanda per intervenuta decadenza dell'attore nell'esercizio del diritto, e quest'ultimo riteneva quindi di dover imputare al proprio difensore il ritardo e l'inefficacia processuale dello strumento utilizzato per tutelare i propri interessi a lui affidati.

Va provata la carente prestazione del legale

Il tribunale di Roma, dopo aver ripercorso il consolidato orientamento della giurisprudenza in tema di responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale (si veda la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 2638 del 5 febbraio 2013), rammenta che il cliente insoddisfatto, per ottenere il risarcimento del preteso pregiudizio economico, deve provare non solo di avere sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale".
In buona sostanza, non basta che l'avvocato commetta un errore violando l'obbligo di diligenza, da lui esigibile in quanto professionista ed esperto del diritto; occorre altresì che dall'errore commesso sia derivato anche il danno collegato alla negligenza professionale.
Infatti, l'avvocato (come è, per lo più, per ogni professione d'opera intellettuale) non è tenuto a garantire l'esito comunque favorevole del giudizio, come auspicato dal cliente, mentre "il danno derivante da eventuali sue omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito".
È questo un principio che regge la disciplina civilistica della responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale, quale appunto è l'avvocato: la misura della responsabilità non va commisurata al mancato raggiungimento dello scopo del mandato ricevuto (nel nostro caso la vittoria del procedimento), ma bensì alla qualità del contenuto della prestazione stessa, che deve essere, secondo un giudizio postumo rimesso al magistrato, improntata alla diligenza professionale e qualificata che sia lecito pretendere dell'esercente la professione intellettuale.
Non mai quindi una obbligazione di mero risultato, ma un impegno a mettere a disposizione i mezzi (conoscenze, intellettualità, esperienza e organizzazione del proprio lavoro), secondo un grado di specialità e qualità adeguato all'alto ruolo sociale e civile che la legge attribuisce alla figura dell'avvocato.
In pratica, nel nostro ordinamento, è richiesta solo al medico (per un deviato concetto obbligatorio elaborato dalla magistratura) una sorta di impegno di risultato. Ma questa è un'altra storia della quale sovente ci occupiamo.

L'accertamento del danno è probabilistico

In relazione alla disciplina generale della responsabilità professionale, invece, nel nostro sistema il cliente, per ottenere un risarcimento del danno conseguente al supposto errore del proprio legale, deve dimostrare non solo l'azione o l'omissione negligente, ma anche che senza l'errore dell'avvocato avrebbe ottenuto con buona previsione il risultato sperato (in tutto o in parte).
Così il principio è espresso a chiare lettere nella sentenza capitolina: "la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente e, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua dei criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale e il risultato derivatone".
L'errore dell'avvocato deve dunque costituire la sola causa e ragione della mancata soddisfazione del cliente, nel senso che lo stesso era, all'epoca del conferimento dell'incarico, titolare di un diritto il cui conseguimento sia stato frustrato dalla negligenza non scusabile del professionista.
Nella vicenda trattata, dunque, il tribunale di Roma respinge la domanda, mandando assolto l'avvocato dalla pretesa risarcitoria del cliente insoddisfatto, non essendo stata provata dall'attore l'esistenza del diritto al rimborso della quota del tributo versato a suo tempo e, quindi, l'esistenza di un danno collegato al denunciato inadempimento professionale.

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