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Danno alla salute, una norma troppo chiusa

Un impianto normativo rigido può essere controproducente e dare adito a un’ampia area di libera interpretazione da parte del giudice. E' auspicabile uno stralcio del testo contenuto nel ddl Concorrenza, in cerca di un impianto più aperto che lasci spazio alla personalizzazione giurisprudenzale

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Sono in svolgimento, in questi giorni, le audizioni presso le competenti commissioni parlamentari nell’ottica della discussione finalizzata all'approvazione del disegno di legge C.3012 (o Concorrenza), approvato la primavera scorsa dal governo.

Il tema più caldo e dibattuto (alla presenza dei rappresentanti delle categorie più interessate, quali Ania, Oua, Cnf e così via) è quello relativo all'approvazione del testo, contenuto nell’art. 7, che si propone di dare veste normativa alla disciplina del risarcimento dell’intero danno non patrimoniale da lesione del bene salute, conseguente a sinistro stradale (modifica agli artt. 138 e 139 Cod.Ass.).
La ratio espressa è quella di creare una tabella unica nazionale che possa assorbire ogni aspetto compensativo del danno alla salute, rendendo prevedibile l’esito del quantum risarcibile (pur con le oscillazioni discrezionali lasciate alla valutazione del giudice entro un tetto non superabile) e certamente contenendolo, rispetto all’attuale sistema pan-compensativo, che, oggi, è empiricamente realizzato attraverso la tabella del tribunale di Milano di liquidazione del danno alla salute.

Come da più parti osservato, e come riteniamo possibile, l’obiettivo di dare sintesi normativa all’integralità del danno non patrimoniale da lesione del bene salute potrebbe risultare persino controproducente sotto l’aspetto della possibile incertezza interpretativa circa l’ampiezza dei profili risarcitori inclusi nel testo proposto. Ciò, con particolare riferimento a quella componente del danno alla salute molto grave che cioè vada ad intaccare la serenità esistenziale della vittima di incidente stradale, la quale riporti menomazioni pesantemente invalidanti della sua esistenza.

Tutto il danno in una tabella

Il danno alla persona di portata gravissima (si pensi a lesioni dalle quali conseguano menomazioni massimali dell’80, 90 o 100% quale danno biologico), infatti, ha una genesi e una composizione complessa, sintetizzata dalla giurisprudenziale, prima di legittimità e poi di merito e ogni proposito di comprimere un'evoluzione giuridica (che nel nostro Paese è movimento di pensiero da più di trent’anni) in un argine normativo dovrà passare il vaglio di adeguatezza da parte della stessa dottrina giurisdizionale che detiene la paternità del sistema stesso (potremmo dire il copyright).

I due articoli del d.Lgs. n. 209 del 2005 vengono quindi riscritti nel testo dell’art. 7 in discussione, con la chiara finalità di comprimere nella tabella di legge (l’una, quella delle micro, già in essere, l’altra, quella delle macro, per la quale è previsto un termine di adozione di 120 giorni dalla entrata in vigore della legge di conversione del Ddl) ogni aspetto soggettivo conseguente alla lesione del bene salute e oggi regolato dalla funzione para-normativa della giurisprudenza di legittimità e di merito.

Vengono infatti inseriti, nella struttura ontologica e semantica del danno liquidato dalle tabelle di legge, terminologie escluse dal corpo normativo tutt’ora vigente, includendo nel testo del comma III il riferimento alla sofferenza psicofisica di particolare intensità quale condizione perché il giudice possa incrementare il valore base della tabella di legge (sino al 40% per le macro e sino al 20% per le micro), precisando altresì poco oltre che l’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche.

Invero, la lesione grave o gravissima che incida sull'esistenza della persona, vittima o meno di sinistro stradale, comporta la compromissione di valori primari dell’individuo che il nostro ordinamento ha sempre ricercato nei canoni della carta costituzionale (come la salute, la dignità della persona, la famiglia e le altre espressioni esistenziali dell’individuo), generando così il sistema di tutele in un contesto endogiurisprudenziale.

Una proposta di legge non esaustiva

A nostro sommesso avviso, la proposta di legge, oggi avanzata, non sembra avere tenuto conto della struttura complessa e composita del danno alla persona e del danno non patrimoniale: il solo artificio semantico e terminologico proposto rischia insomma di banalizzare l’iter giuridico e formativo che ha portato all’attuale sistema di liquidazione del danno.

Infatti, nel valore composito e unitario della tabella milanese (allineatasi ai dettami delle sentenze della Corte di Cassazione rese a Sezioni Unite nel 2008 e che oggi costituiscono il manifesto del danno alla persona) rientrano indici che attengono tanto al valore biologico della lesione, quanto alla sua sofferenza soggettiva e privativa, quanto infine alla compromissione di parametri esistenziali, quali la dignità dell’individuo e la lesione del libero esercizio di funzioni assolute, come la famiglia, il lavoro, il godimento dei beni di proprietà, la vita sociale ed ogni altra componente esistenziale dell’uomo.

Si vuol dire che la genesi del danno alla persona ha portato ad enucleare e definire tutti gli aspetti costituzionali compromessi con la lesione del bene salute, prima articolandoli con riferimento a norme gerarchicamente superiori a quelle ordinarie (come è il Codice delle Assicurazioni) e rinvenute nella nostra Carta costituzionale; poi (secondo il dettato delle sentenze del 2008 nn. 26972-5 rese a Sezioni Unite) componendole nella unitarietà del valore pecuniario, infine sintetizzato nella tabella milanese.

La tabella milanese non costituisce, come ampiamente noto, una mera elaborazione empirica autogeneratasi nella consuetudine meneghina, ma è principalmente il terminale di un lunga esperienza di confronto e di sintesi di precedenti empirici, la cui elaborazione risale addirittura ai primi anni novanta, quando alcuni giudici del distretto decisero di rendere uniforme un criterio di compensazione del bene salute, prima rimesso al mero arbitrio del singolo magistrato.

Il ruolo della magistratura

La nostra costruzione giurisprudenziale della tutela della salute, come ispirata ai dettami costituzionali e affinata dalla magistratura delle più alte Corti dello Stato, specie quando riferita a contesti di gravi compromissioni del bene e della libertà individuale (si pensi alle lesioni massimali con privazione delle principali funzioni vitali ed esistenziali della vittima), mal si presta ad essere compressa e schematizzata in formule normative rigide nelle quali la funzione di personalizzazione della magistratura sia costretta e limitata.

Pensiamo, in conclusione, che – ove l’accezione semantica di danno non patrimoniale generata dell’art. 7 del Ddl in argomento venisse convertita in legge – il dettato normativo del nuovo danno non patrimoniale dovrà confrontarsi con l’esame di esaustività, che è rimesso solo alla magistratura, di merito e di legittimità. Ove, come ci sembra, la valutazione del corpo normativo non garantirà l’ampiezza pan-compensativa rispetto ai valori costituzionali globalmente lesi (presenti nelle lesioni più gravi), temiamo che il giudizio della giurisprudenza possa essere di insufficienza e inadeguatezza del conseguente valore tabellare di legge.

Serve una norma aperta

Una prima soluzione potrebbe portare alla scelta di stralciare il testo in argomento e di riprendere il discorso della modifica del regime normativo e fonte primaria del danno non patrimoniale: l’art. 2059 del nostro Codice Civile che, nella versione attuale, ne dà una definizione non tipizzante ma, quale norma aperta, suscettibile di essere liberamente interpretata dalla giurisprudenza.

I progetti di legge presentati negli ultimi anni (ad es. Prog.Bonafede) si proponevano, infatti, di dare una regolamentazione normativa e tipizzante al principio generale che regge l’impianto disciplinare del danno non patrimoniale nel nostro ordinamento.
Senza una strutturazione unitaria e tipica della definizione del danno non patrimoniale in generale, l’art. 7 del testo proposto (che ne costituisce una specificazione demandata ai soli danni conseguenti a sinistri stradali) mancherebbe dei riferimenti normativi generali, certi e tipizzati, mantenendo quindi una ampia area di libera interpretazione ove la funzione equitativa e discrezionale del giudice (art. 1226 Cod.Civ.) troverebbe comunque collocamento e spazio di intervento.

Di contro, ove si privilegiasse l’intervento comunque correttivo sul testo attuale, riteniamo che la via sia quella di offrire una definizione di danno non patrimoniale risarcibile in forza della legge in questione, quanto più possibile ampio e convergente verso l’accezione giurisprudenziale e plurioffensiva dei valori costituzionali che la magistratura ha dato in questi anni a tale accezione.


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