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Conferma dalla Cassazione sugli oneri probatori in tema salute

La sentenza n. 13107 in materia di malpractice medica riafferma la posizione della Suprema Corte sul fatto che non basta allegare il contratto sociale, ma occorre dare prova del nesso di causa tra la condotta del medico che si ritiene imperita e il danno

Conferma dalla Cassazione sugli oneri probatori in tema salute hp_vert_img
Con la pronuncia n. 13107 del 12 maggio 2023, la Suprema Corte di Cassazione torna a ridelineare e precisare quali sono i contenuti e i limiti degli oneri probatori gravanti sulle parti processuali in materia di malpractice medica. 
La vicenda concerne una azione da responsabilità medica incardinata da dei genitori convinti che la grave tetraplegia spastica e disartria grave con invalidità permanente all’80% di cui era affetto il figlio fosse riconducibile alle mancate cure somministrategli subito dopo il parto.
In particolare, il nato prematuro veniva sottoposto per tre minuti a ossigenoterapia e veniva poi trasferito all’ospedale pediatrico per il ricovero in terapia intensiva per un mese e mezzo, quindi dimesso con diagnosi di sofferenza neurologica perinatale, affetto da quadriplegia spastica quale esito di encefalopatia ipossico ischemica. 
Essendo la partoriente ad altissimo rischio, i ricorrenti sono convinti che, se trasferita subito dopo il ricovero e già prima del parto in una struttura attrezzata per la cura dei grandi prematuri, dove sarebbe stato possibile sottoporre immediatamente il neonato a terapia intensiva, evitandone il trasporto subito dopo il parto, il figlio non avrebbe subìto conseguenze patologiche irreversibili conseguenti alla ipossia cerebrale.

Alla base del ricorso la ripartizione della prova
La domanda nei due gradi di merito veniva rigettata sulla scorta della disposta Ctu, ritenendo i giudicanti che la spiegazione causale più probabile delle patologie riportate subito dopo la nascita fosse quella del verificarsi, già prima del parto, di uno stato infiammatorio infettivo che aveva reso necessario il parto prematuro ed escludendo, pertanto, ogni responsabilità dell’ente convenuto per mancanza di prova del nesso causale tra l’evento lesivo e il comportamento dei sanitari.
I ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 C.c., in quanto i giudicanti avrebbero applicato erroneamente le regole sulla ripartizione dell’onere probatorio perché, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale del medico, l’attore, ovvero il paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto o contatto sociale e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, allegando l’inadempimento del debitore, mentre rimarrebbe a carico del debitore la prova della insussistenza dell’inadempimento o che esso, pur esistendo, non è stato rilevante da un punto di vista causale. Inoltre, quando all’esito del giudizio permarrebbe il dubbio sull’esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, il rischio dell’incertezza dovrebbe ricadere sul debitore della prestazione.

Spetta al paziente dimostrare il nesso di causalità materiale
Il ricorso viene ritenuto infondato e rigettato.
Rammentano gli Ermellini, infatti, che in tema di responsabilità sanitaria, il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, non solo l’esistenza del rapporto contrattuale ma anche il nesso di causalità materiale tra condotta del medico in violazione delle regole di diligenza ed evento dannoso, consistente nella lesione della salute (ovvero nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di una nuova malattia), non essendo sufficiente la semplice allegazione dell’inadempimento del professionista.
Nel caso di specie, pertanto, il giudice del merito aveva fatto corretta applicazione dell’art. 2697 C.c. e della regola di distribuzione degli oneri probatori in essa contenuta in quanto, a seguito di una analisi accurata e di una rinnovata e approfondita indagine istruttoria a mezzo di consulenza medica, poi integrata dalla partecipazione di un neonatologo, ritenne che la causa del danno riportato fosse più probabilmente riconducibile a un insulto ipossico-ischemico verificatosi già in epoca prenatale, alcune settimane prima della nascita, ritenendo appropriati i trattamenti praticati al bambino subito dopo la nascita. 
Legittimamente, sulla base di tale analisi dei fatti, la corte d’appello ha concluso escludendo che fosse stata fornita la prova che il danno permanente riportato dal bambino fosse da porre in rapporto causale con il comportamento dei medici durante il parto.

Una decisione coerente
La Corte dà dunque seguito al suo recente orientamento in materia di oneri probatori in materia di malpractice medica.
Sempre la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25884 del 2 settembre 2022, aveva precisato come il negare che incomba sul paziente creditore l’onere di provare l’esistenza del nesso di causalità fra l’inadempimento e il pregiudizio alla salute, come si assume nel motivo, significherebbe espungere dalla fattispecie costitutiva del diritto l’elemento della causalità materiale, mentre il creditore, al contrario, è tenuto a provare, anche mediante presunzioni, il nesso eziologico fra la condotta del debitore, nella sua materialità, e il danno lamentato. Solo successivamente, allora, sorgeranno gli oneri probatori del debitore.

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