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TRF e futuro della collettività italiana

Si parla sempre più spesso di mettere in busta paga il TFR (trattamento di fine rapporto) del lavoratore (L.297/1982). Una sorta di retribuzione differita, che verrà liquidata alla cessazione del rapporto di lavoro del lavoratore dipendente.
La materia, ampiamente discussa non rappresenta più un solo fatto politico ma anche e, soprattutto, sociale.
Su questo argomento sono intervenute personalità eminenti, Confindustria e Ania e alte cariche dello Stato: ministri, economisti, deputati di maggioranza ed opposizione. I pareri sono stati ampi, articolati e - come sempre - discordi.

E' realmente difficile valutarne le varie sfaccettature che coinvolgono, sì, il presente ma anche e, soprattutto, il futuro.
L'idea "guida" è stata lanciata recentemente da Landini (Fiom) e fatta propria dal Presidente del Consiglio Renzi, convinto com'è di aver trovato un altro balzello per rinverdire i "consumi" degli italiani: aggiungere allo stipendio mensile quanto già di proprietà del lavoratore, in quanto somma che dovrebbe essergli consegnato alla fine della vita lavorativa.
Personalmente non condivido questa possibilità, alla quale mi pare manchino quella cautela e quella prudenza che si devono al futuro della collettività lavorativa italiana.

Non è ancora chiaro, inoltre, ed è un'aggravante, quale tassazione verrà riservata a questa ipotesi. Sappiamo che l'attuale legge (47/2000) la calcola "separatamente", sfuggendo quindi alla tassazione ordinaria, legge espressamente elaborata per questo tipo di indennità. Ma il TFR sommato mensilmente allo stipendio, verrà calcolato con pari tassazione dello stesso?
Va inoltre considerato che la vita media si è di molto allungata e che le "previsioni", per gli anni 2025/30, si attestano tra gli 82 e 85 anni. Ovviamente sono previsioni attuariali, senza "sfera di cristallo" e il tutto si attaglia bene al famoso "pollo di Trilussa".
Alla fine di ogni vita lavorativa, che prevedibilmente sarà sempre più lunga, considerato che a ogni "riforma" previdenziale l'andata in pensione viene spostata in avanti (Fornero docet), il TFR consente al lavoratore di trovare un tesoretto, che gli è stato accantonato anno dopo anno.
Per la verità mi pare assurda quanto pericolosa l'idea di azzerarne i contenuti.
Va anche tenuto in debito conto che questi soldi accantonati, non sono "bloccati" sine die, ed è possibile, in caso di necessità, richiedere al datore di lavoro un anticipo, con limiti e condizioni precise, sino al 70% del maturato al momento della richiesta, per spese medico/sanitarie o interventi straordinari riconosciuti dalle ASL, l'acquisto della prima casa, congedo facoltativo per maternità, congedi per la formazione extra lavorativa o formazione continua.

Pur avendo i requisiti (almeno otto anni di anzianità), il datore di lavoro può rifiutare se, ad esempio, il numero dei lavoratori della medesima azienda supera il 10% delle richieste, sul totale dei dipendenti che ne hanno titolo.
C'è stata inoltre, sull'argomento, la disposizione del DL 252/2005 che stabiliva che i lavoratori di azienda con almeno 50 dipendenti, potessero "scegliere" se far confluire il proprio TFR in un fondo ad hoc, istituito dall'INPS.
Coloro che hanno optato per questa soluzione non sono molti e non si è raggiunto neanche il 50% del totale forza lavoro dipendente.
Torniamo però al nocciolo della questione: vale la pena di smantellare il futuro gruzzoletto della liquidazione? Tenuto conto che l'accantonamento annuo del TFR è pari a una mensilità di stipendio lordo oltre qualche altra piccola voce, vista anche la crisi che incombe sull'intera nazione, credo non sia il prelievo del TFR la giusta soluzione per "rimettere in moto" l'economia.
L'italiano medio è fortemente indebitato e certo, ammesso e non concesso che il progetto diventasse legge, con quei soldi la stragrande maggioranza non andrà certo a fare shopping.

Si deve inoltre tenere presente che i problemi esistenziali di ripresenteranno all'andata in quiescenza dell'attuale generazione lavorativa, con pensioni sempre più ridotte e senza più la possibilità di poter attingere al seppur modesto capitale... accumulato negli anni.
Vedrei già meglio la possibilità - in caso di "mutilazione" del proprio TFR via D.L. - di utilizzarlo non certo per incrementare i consumi... ma per costruirsi un fondo pensione (PIP), gestito da primaria compagnia assicurativa, con esperienze di mercato ultra centenarie, che goda di solidità, trasparenza, controllo, autonomia.

A questa forma di previdenza integrativa, oltre al proprio TFR, si potrebbero aggiungere i propri risparmi, magari modesti. Sappiamo che l'italiano è un convinto risparmiatore, anche in momenti di crisi come questa.
Costruire qualcosa per il futuro, come una pensione integrativa, non è difficile, soprattutto se si decide di usare all'uopo il proprio TFR, con la certezza che in futuro se ne godranno i veri benefici.

Questa forma di risparmio, diciamo forzoso, visto l'impegno assunto, consentirà alla scadenza di mantenere - almeno in parte - il tenore di vita odierno.
Entrare nell'ordine di idee di "costruire" un piano individuale pensionistico assicurativo, consente al cittadino di maturare una prestazione complementare alla pensione pubblica (ammesso ci sia ancora), dimostrando alle istituzioni di essere previdenti e responsabili verso se stessi e verso la società.
Più della politica!

Carla Barin

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