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Il rischio dei termini di recesso

La lunghezza del periodo entro cui inviare una disdetta, prevista all’interno di un contratto di assicurazione, può essere giudicata vessatoria se richiede tempi molto anticipati e per questo favorevoli alla compagnia. In fase di sottoscrizione, è consigliabile adottare misure che rendano esplicita l’accettazione della clausola da parte del cliente

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La quaestio iuris in ordine alla legittimità delle clausole di tacito rinnovo del contratto, a fronte della previsione di un termine di recesso particolarmente ampio, è da sempre oggetto di numerosi dibattiti giurisprudenziali.
Alla luce delle recenti pronunce, la giurisprudenza prevalente sembra ancora oggi essere improntata verso una presunzione di vessatorietà di tutte quelle clausole che prevedono, a carico dell’assicurato, un termine di recesso eccessivamente anticipato rispetto alla naturale scadenza del contratto.
In tale ottica, la pronuncia di vessatorietà di tale tipologia di clausole deriva dalla considerazione che un termine eccessivamente ampio per la denuncia della volontà di recedere rappresenti un pregiudizio importante per l’assicurato, il quale si vedrà quindi prorogata in via automatica la garanzia assicurativa nel caso in cui tale termine non sia stato rispettato.

Tempi di disdetta in proporzione alla durata del contratto
La presunzione circa l’illegittimità di dette clausole trova il proprio fondamento nel disposto di cui all’art. 33, comma 2, Cod. Cons., il quale stabilisce che “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di (…); i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione”.
Le più recenti pronunce hanno avallato la posizione precedentemente assunta dalla giurisprudenza di merito, secondo la quale un termine per la notifica di disdetta pari a 60 o 90 giorni sarebbe troppo eccessivo parametrato alla complessiva durata del contratto (cfr. Trib. Roma, Sez. VIII, 28 ottobre 2000). A tal proposito, si ritiene che per i contratti aventi una durata annuale, un termine di recesso superiore ai canonici 30 giorni debba considerarsi eccessivo e, quindi, vessatorio per l’assicurato. Dunque, tutte quelle clausole “che hanno per oggetto o per effetto di prorogare automaticamente un contratto di durata determinata in assenza di manifestazione contraria del consumatore, qualora sia stata fissata una data eccessivamente lontana dalla scadenza del contratto, quale data limite per esprimere la volontà del consumatore di non prorogare il contratto, sono infatti solo apparentemente bilaterali, atteso che il termine eccessivamente anticipato si risolve in un ulteriore pregiudizio per l’assicurato” (cfr. C. App. Roma, Sez II, sent. n. 1.780/2002). 
L’assicurato, asseriva la giurisprudenza di merito romana, sarà costretto a provvedere con eccessivo anticipo rispetto alla scadenza del contratto per “rintracciare una successiva copertura assicurativa sostitutiva per non essere costretto ad esercitare la disdetta “al buio”, mentre la società assicurativa, tempestivamente informata dell’intenzione del cliente di recedere dal contratto, ha un tempo maggiore per rimpiazzare il cliente prima della scadenza del contratto”.
Al fine di pervenire a una valutazione di merito circa la congruità del termine di disdetta, si dovrà tenere conto della durata prestabilita del contratto, dovendosi così ritenere legittimo un termine maggiore nel caso di contratto pluriennale, mentre potrebbe risultare eccessivamente anticipato rispetto a una scadenza contrattuale annuale (cfr. parere Cese in merito al tema I consumatori nel mercato delle assicurazioni del 29/1/1998, e Quaderno Isvap n. 9 del 1/6/2001, Le clausole vessatorie e i contratti di assicurazione: profili di tutela del consumatore).

Più attenzione in fase di stesura e di sottoscrizione
Tanto premesso, onde evitare censure drastiche, risulterà quindi, in termini contrattualistici, di primaria importanza per le compagnie apprestare una particolare attenzione non solo nella fase di redazione e formulazione di dette clausole, ma anche all’atto di sottoscrizione delle polizze assicurative stesse. In quest’ottica, risulterà fondamentale che clausole con una portata così specifica vengano redatte con la massima attenzione e chiarezza e che siano, in ogni caso, sottoposte in fase di stipulazione del contratto a una procedura di approvazione specifica per iscritto da parte del contraente (c.d. doppia sottoscrizione), in quanto  è notorio che le clausole dubbie verranno interpretate a favore dell’assicurato, in ossequio al principio del favor per il contraente debole (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 9 giugno 2016, n. 11.819).
Si torna a ribadire, dunque, che solo attraverso l’impiego di un wording semplice ma esaustivo e una costante informazione da parte dell’assicuratore delle condizioni contrattuali e delle modifiche apprestate, l’assicurato potrà essere reso edotto circa le disposizioni contrattuali specifiche. Così operando, sarà più agevole per la compagnia assicurativa eccepire, in caso di contestazioni, la corretta operatività della clausola.
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