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Consenso informato è diritto autonomo

Il diritto del paziente all’autodeterminazione e alla libertà di accettare un intervento viene prima del dovere del medico verso la necessità della cura. Un caso giunto in appello a Milano chiarisce i diversi ambiti

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Un’interessante sentenza resa dalla Corte di Appello di Milano (n. 423 del 4 febbraio 2016) chiarisce in termini lineari i criteri di inquadramento di uno degli istituti più tipici e complessi della materia del danno da errore sanitario: il risarcimento del danno da intervento sanitario svolto in assenza di un pieno e consapevole consenso da parte del paziente.

La vicenda trae spunto dall’azione promossa da un paziente che lamentava di non aver concesso ai sanitari il consenso informato in ordine alle possibili complicanze di un intervento di colonscopia al quale era stato sottoposto.

Il giudice del primo grado aveva riconosciuto e risarcito il danno fisico per l’errore dei sanitari (per aver provocato la complicanza della lacerazione di un organo periferico alla sede dell’intervento) ma nulla a titolo di lesione del diritto alla autodeterminazione del paziente.
In particolare, la parte istante lamentava la mancata liquidazione dell’autonoma voce di danno definita come lesione del principio di autodeterminazione, per il cui risarcimento - secondo la più costante giurisprudenza di legittimità - sarebbe del tutto indifferente la correttezza o meno dell'esecuzione dell’intervento chirurgico.

Nel caso spedito, lo stesso paziente si lamentava del fatto che il primo giudice avesse solo liquidato il danno fisico da lui subito – conseguente all’errore tecnico di esecuzione dell’intervento – ma non il danno (autonomo) da violazione del diritto alla disposizione libera delle pratiche chirurgiche sul proprio corpo, essendo mancata l’informativa circa i rischi che la pratica stessa avrebbe determinato per il malato.

L’informazione come base del trattamento sanitario

È indubbio che il consenso informato costituisca legittimazione e fondamento del trattamento sanitario e, difatti, in mancanza dello stesso, l'intervento del medico è sicuramente illecito, anche quando praticato nell'interesse del paziente. Esso, dunque, è espressione di una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto va inteso come fondato prima sui diritti del paziente e sulla sua libertà di autodeterminazione terapeutica che sui doveri del medico.

L'obbligo d'informazione, infatti, è volto a tutelare direttamente l'autodeterminazione e la libertà del paziente, sancendo un vero e proprio divieto di disporre sul corpo dell’essere umano (seppure per eseguire corrette e necessarie pratiche chirurgiche) se non con il suo espresso consenso. 

A questo proposito la Corte di Appello, nella decisione che si riferisce, rammenta che il consenso informato è presupposto di legittimazione del trattamento medico, e considerato, altresì, che il diritto all'autodeterminazione è autonomo e distinto dal diritto alla salute, non vi è, parimenti, dubbio che la violazione di quest'ultimo, anche nel caso in cui l'intervento chirurgico abbia avuto un esito fausto, rappresenti fonte di autonoma pretesa risarcitoria.

In diverse pronunce, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio iuris in base al quale "la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori, anche ove non sussista lesione della salute, tutte le volte in cui siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in se stesso" (cfr. Cass. sentenza 6 marzo - 16 maggio 2013, n. 11950).

La Suprema Corte, quindi, ha confermato la tesi secondo cui, in materia di responsabilità medica, la mancanza del consenso informato costituisca di per sé un illecito risarcibile nella misura in cui, nel caso concreto, esso abbia prodotto conseguenze pregiudizievoli apprezzabili e purché tale voce di danno sia stata adeguatamente allegata e provata dal paziente in maniera altrettanto autonoma rispetto ad altre voci di danno non patrimoniale.

Ma serve il rispetto del Codice

Ciò premesso, la Corte di Appello rileva che nel caso di specie, mancava da parte dell'istante un’ autonoma richiesta del danno da mancato consenso informato nei termini poc'anzi esposti, inducendo quindi i giudici a respingere la domanda sul presupposto che "nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio " (art. 345 C.p.c.).
In verità i giudici osservano che, benché il danneggiato avesse lamentato il danno patito e l’assenza di un vero e proprio consenso informato acquisito dai sanitari prima dell’intervento, proprio con riguardo alle possibili complicanze poi insorte, era mancata negli scritti giudiziali la chiara richiesta risarcitoria per il danno proprio ed autonomo da violazione del diritto alla autodeterminazione del paziente.

Rileva la Corte che la richiesta di condanna degli allora convenuti "al risarcimento dei danni tutti, morali e materiali, nessuno escluso, patiti dal Sig. -----  a causa delle condotte colpose descritte in narrativa", non può dirsi integrante le caratteristiche di specificità ed autonomia richieste dalla giurisprudenza di legittimità ai fini del risarcimento del danno da lesione del principio di autodeterminazione.

“Pertanto, la richiesta formulata dall'appellante nel presente giudizio e volta ad ottenere la liquidazione di un danno come quello fin qui descritto, rilevante ex se ma non specificamente dedotto sin dal primo grado, sconta le preclusioni previste dalla legge per le cosiddette "domande nuove", che, come più volte sottolineato dalla S.C. di Cassazione, si rinvengono in tutte quelle ipotesi in cui "il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio " (cfr. ex plurimis Cass. Sent. del 7 febbraio 2012, n .1684)”.

In conclusione, la Corte di Appello di Milano, pur riconoscendo in astratto l’autonoma risarcibilità della voce di danno da lesione del diritto alla autodeterminazione del paziente (o alla libera e consapevole scelta di assumere il rischio delle complicanze tipiche di ogni intervento chirurgico), fonda proprio sulla chiara autonomia di tale voce di danno il rigetto della domanda perché, in quanto danno a sé stante, deve sempre essere dettagliatamente e specificatamente dedotto fin dal primo atto di giudizio da chi assuma di avere subito il relativo torto.





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