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Frodi, il rischio invisibile da imparare a gestire

Appropriazione indebita, corruzione, cyber-crime. Sono fattori che possono portare a significative perdite economico-finanziarie alle aziende. Uno studio di PwC fotografa la situazione italiana, dove c’è ancora troppa poca attenzione (e a volte reticenza) verso questi fenomeni

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Un’azienda su cinque, in Italia, è stata vittima di una frode in ambito economico-finanziario. La percentuale, pari al 21%, è significativa, sebbene sia comunque inferiore a quanto avviene nel resto del mondo, dove il 36% delle imprese hanno subito almeno un raggiro. L’istantanea scattata da PwC nel suo ultimo Global economic crime survey, studio realizzato su scala mondiale per indagare questo tema, fotografa una situazione preoccupante. Sia in Italia, sia all’estero, c’è ancora molta strada da fare su diversi fronti.
Restringendo l’ambito di osservazione al nostro Paese, lo studio rileva che la tipologia di frode più diffusa in Italia è l’appropriazione indebita, che rappresenta il 70% circa delle frodi dichiarate. Un dato che risulta in aumento rispetto alle passate indagini di PwC è quello relativo alla corruzione: il 23% delle organizzazioni che hanno partecipato alla survey ha ammesso di esserne stato vittima, anche se, come vedremo, persiste una certa reticenza ad affrontare questo argomento. Le altre modalità di frodi riscontrate riguardano casi di cyber-crime (20% dei rispondenti), le frodi contabili (17%), o nell’area degli acquisti e degli appalti (13%), così come quelle frodi perpetrate nell’ambito del riciclaggio di denaro (10%), e quelle nell’ambito delle risorse umane (10%).

Stanare criminali e furbetti

Secondo l’indagine, il 36% delle frodi è stato intercettato tramite modalità fuori dal controllo e dall’influenza del management: un crimine economico-finanziario su quattro (24%) è stato scoperto dalle forze dell’ordine. Per PwC, questo è dovuto al fatto che le organizzazioni arrivano spesso in ritardo a individuare le frodi e a fronteggiarne gli ingenti danni finanziari e reputazionali conseguenti. Il 47% delle aziende ha intercettato l’evento fraudolento attraverso il sistema di controllo interno: con internal audit  (17%), con processi di monitoraggio delle transazioni (17%), con i sistemi di fraud risk management (10%) e con la funzione security aziendale (3%).

Perdite economiche per le aziende

Anche se, come ammette PwC, fare un calcolo preciso non è semplice, si stima che le frodi negli ultimi due anni abbiano causato perdite finanziarie enormi. Ad esempio, il 7% delle organizzazioni italiane hanno subito perdite comprese tra i 5 e 92 milioni di euro, cui possono aggiungersi eventuali danni collaterali: gli impatti più significativi sono stati riscontrati sulla motivazione dei dipendenti (24% dei rispondenti), sulla reputazione del marchio (23%), e sulle relazioni commerciali (14%).

Identikit del frodatore

Maschio, laureato, di età compresa tra i 31 e i 40 anni, con una buona esperienza lavorativa alle spalle (dai 3 ai 5 anni). È questo l’identikit del frodatore tipico. Nel 43% dei casi, è un soggetto collocato all’interno dell’azienda, prevalentemente nel middle management, mentre nel 30% dei casi è esterno all’azienda (quando è stato possibile identificarlo).

L’ombra del cyber-crime

Come già accennato, il 20% dei rispondenti ha ammesso di essere stato vittima del cyber-crime. Il 60% delle aziende italiane considera il rischio cyber una minaccia sempre più proveniente dall’estero, ma solo il 53% delle aziende ha implementato un piano di risposta dagli attacchi informatici. Eppure quasi la metà (37%) delle organizzazioni italiane è vulnerabile dal punto di vista della sicurezza informatica. Probabilmente alla base di questa situazione c’è la grande fiducia riposta nelle forze dell’ordine: quasi la metà (46%) delle aziende crede che Polizia, Guardia di Finanza e Carabinieri siano adeguatamente dotati di strumenti di contrasto agli illeciti informatici.

Corruzione e reticenza

Lo studio di PwC dedica un’attenzione particolare al tema della corruzione, fenomeno preoccupante nonostante il costante monitoraggio delle autorità giudiziarie e amministrative. L’indice 2015 di Transparency international sulla corruzione percepita colloca l’Italia al 61esimo posto. Eppure la ricerca ha rilevato una certa reticenza nel denunciare. Il 6% delle aziende italiane ha ammesso di aver ricevuto una richiesta di pagamento di una tangente, ma un’impresa su quatto “non sa rispondere” alla domanda. Occorre sottolineare che il 13% dei partecipanti alla survey ha dichiarato di aver perso opportunità commerciali (probabilmente colte da altri concorrenti a seguito del pagamento di una tangente), mentre la metà delle imprese, anche in questo caso, non ha saputo rispondere alla domanda. Secondo PwC, questo quadro mostra come la cultura della legalità, dell’etica e della trasparenza debbano figurare tra gli obiettivi fondamentali per le organizzazioni italiane. Una mano, in questo momento, giunge dalle linee guida dell’Autorità nazionale anti-corruzione (Anac), presieduta da Raffaele Cantone, ma anche alcune recenti disposizioni normative del Governo. È necessario, inoltre, implementare gli strumenti di whistleblowing, cioè la pratica delle cosiddette “soffiate” interne ed esterne: al momento gran parte delle segnalazioni vengono fatte ancora tramite canali tradizionali, pertanto le nuove normative intendono rafforzare queste modalità rendendole più semplici e accessibili.

Prevenire è meglio che curare

Un segnale positivo registrato dallo studio di PwC è quello che osserva un graduale rafforzamento della cultura della prevenzione. Si è infatti ridotto il numero di aziende che non ha mai svolto attività di fraud risk assessment (24%). Tuttavia non bisogna dimenticare che alla base di tutto ci sono dei comportamenti umani e dunque, le aziende devono fare il massimo sforzo nella promozione della cultura dell’etica e del rispetto della legalità. Solo in questo modo le barriere difensive contro i crimini economico-finanziari potranno proteggere il business.


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