Insurance Trade

Danno macropermanente, risarcimento parametrato all’aspettativa di vita effettiva

La Cassazione ha statuito che il danneggiato non può pretendere in via del tutto automatica la liquidazione degli importi previsti dalla Tabella di Milano, ove la sua aspettativa di vita – proprio a causa dell’illecito – sia inferiore a quella media. L’ordinamento, tuttavia, già contempla uno strumento alternativo che consentirebbe di parametrare rispetto alla vita effettiva

Danno macropermanente, risarcimento parametrato all’aspettativa di vita effettiva hp_vert_img
Con sentenza n. 26118 del 27 settembre 2021 la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di liquidazione del danno macropermanente, affermando che - ove la lesione abbia determinato una riduzione dell’aspettativa di vita della vittima (il cosiddetto rischio latente) - il giudice di merito dovrà tenerne debitamente conto ai fini della liquidazione del danno biologico.
La pronuncia in commento trae origine da un caso di malpractice medica per mancata diagnosi di una sofferenza fetale, che aveva poi procurato al neonato una gravissima invalidità permanente quantificata nel 91%.
In particolare, all’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Pavia aveva liquidato il risarcimento del danno biologico in favore del minore, facendo pedissequa applicazione dei valori monetari espressi – per età e grado di invalidità – dalla Tabella di Milano.
Nondimeno, la compagnia assicuratrice della struttura sanitaria proponeva appello, deducendo che il Tribunale, nel fare piena applicazione della tabella ambrosiana, aveva liquidato il danno in rapporto all’aspettativa di vita media e non anche a quella effettiva.
La Corte di Appello di Milano, tuttavia, rigettava la censura, rilevando che “la ridotta speranza di vita del minore era essa stessa una conseguenza del fatto illecito”.
L’assicuratore riproponeva, dunque, la questione in Cassazione, facendo leva, peraltro, su di una risalente pronuncia del 2003.

Il precedente di Cass. 16525/2003 e le “nuove” indicazioni di Cass. 26118/2021
In quel precedente, la Corte aveva effettivamente affermato che “il giudice di merito deve liquidare il danno biologico non con riferimento alla speranza di vita media nazionale, ma alla prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato”. D’altro canto, come ben evidenziato dal relatore della sentenza in commento, in quella pronuncia del 2003 la Cassazione aveva altresì chiarito che, in ogni caso, la riduzione dell’aspettativa di vita costituisce essa stessa conseguenza dell’illecito e, pertanto, dovrà comunque essere risarcita.
Ed è proprio muovendo da questa impostazione che la Corte di Legittimità, a distanza di quasi vent’anni, ha inteso fornire alcune più specifiche indicazioni operative ai fini di una corretta liquidazione del danno biologico in presenza di un rischio latente.
In particolare, la Corte distingue due scenari “istruttori” differenti: il primo, in cui il grado di invalidità permanente, suggerito dal medico legale e condiviso dal giudice, sia già stato determinato tenendo conto del rischio latente insito nei postumi a causa della loro natura o gravità; il secondo, in cui l’indicazione del grado di invalidità permanente non tenga conto del rischio latente, vuoi perché non contemplato dal bareme utilizzato nel caso concreto, vuoi “per maltalento” del medico legale. 
Ebbene, nel primo caso la liquidazione del danno biologico dovrà essere effettuata tenendo conto della minore speranza di vita in concreto e non anche di quella media (“se così non fosse – evidenzia il relatore  – il medesimo danno sarebbe liquidato due volte: dapprima attraverso l’incremento del grado di percentuale di invalidità permanente; e poi tenendo conto della speranza di vita media, invece che della speranza di vita concreta”). Nel secondo caso, invece, il giudice dovrà tener conto del rischio latente “maggiorando la liquidazione in via equitativa”.

Alcune note critiche su una posizione contraria alla prassi
La Corte ha dunque assunto una posizione nettamente contraria alla prassi – invero diffusa – di liquidare l’integrale importo previsto dalla Tabella di Milano anche in presenza di un rischio latente, dal momento che i valori monetari espressi dalla tabella ambrosiana (ma lo stesso potrebbe dirsi con riguardo a quella elaborata dal Tribunale di Roma) sono rapportati non all’aspettativa di vita effettiva bensì a quella media.
È pur vero che, con specifico riguardo alla seconda ipotesi contemplata dalla sentenza, la Cassazione non esclude che il giudice possa fare comunque applicazione dei valori espressi dalla Tabella di Milano. “A mero titolo di esempio – si legge nella sentenza – ciò sarà possibile nei casi più gravi, e cioè quando massimo è il divario tra la vita attesa secondo le statistiche mortuarie, e la concreta speranza di vita residuata all’infortunio”.
D’altro canto, seguendo l’impostazione della pronuncia in commento, l’applicazione dei criteri tabellari risulterebbe solo meramente eventuale (il che priverebbe la Tabella di Milano di quel valore para-normativo riconosciutole dalla sentenza Amatucci – Cass. 12408/2011).
Oltretutto, in forza delle indicazioni fornite dalla pronuncia in commento, dovremmo ritenere che, in presenza di un rischio latente, non possa farsi applicazione neppure dei valori monetari espressi dalla Tabella Unica Nazionale (Tun) ex articolo 138 Cap: il che risulta certamente paradossale, dal momento che la Tun dovrebbe assumere un valore non meramente “para-normativo” ma propriamente “precettivo” (per l’effetto il giudice non potrebbe in alcun modo derogarvi, così come invece previsto dalla pronuncia in commento).

La rendita come soluzione alternativa
Pare, dunque, di poter affermare che la questione esaminata dalla Corte meriti un adeguato approfondimento, anche alla luce del dibattito apertosi a seguito della pubblicazione nel gennaio del 2021 dello schema di Tun.
Nel frattempo, non potremmo omettere di considerare come, a oggi, l’ordinamento già contempli uno strumento che consentirebbe di parametrare il risarcimento all’effettiva durata della vita futura del danneggiato e cioè quello della rendita vitalizia ex articolo 2057 C.c. In particolare, il giudice potrebbe convertire in rendita il valore monetario previsto dalla Tabella di Milano per grado di invalidità ed età del danneggiato, così conciliando da un lato l’esigenza di uniformità di trattamento espressamente reclamata dalla sentenza Amatucci (i valori monetari di riferimento, a quel punto, sarebbero pur sempre quelli applicati dalla gran parte dei tribunali italiani); dall’altro quella di parametrare il risarcimento alla durata effettiva della vita residua del danneggiato, mediante pagamenti periodici fino all’effettivo decesso (e ciò anche in considerazione del fatto che il medico legale si limita a una mera previsione in termini di aspettativa).

Va da sé che l’erogazione del risarcimento in forma di rendita potrebbe risultare non particolarmente appetibile per i danneggiati e, al contempo, recare con sé alcune complicazioni gestionali per responsabili, nonché per le compagnie chiamate al pagamento periodico. D’altro canto, non potremmo ignorare come l’ordinamento già preveda una specifica ipotesi di liquidazione del danno biologico mediante rendita (peraltro a prescindere dalla sussistenza o meno di un rischio latente): ci riferiamo, in particolare, all’indennizzo riconosciuto da Inail per le invalidità pari o superiori al 16% (art. 13 comma 2 lett. b D. Lgs. 38/2000). E ancora, ci preme qui evidenziare come il danno biologico sia già stato liquidato in forma di rendita in una nota pronuncia di merito (Trib. Milano 15 maggio 2019) che, peraltro, è intervenuta a distanza di pochi anni da un altro storico precedente (Trib. Milano 27 gennaio 2015) che per la prima volta aveva fatto applicazione dell’art. 2057 C.c. sia pur con esclusivo riguardo al danno patrimoniale.
Alla luce di quanto sopra, i tempi risultano dunque maturi (vuoi a livello normativo vuoi a livello giurisprudenziale) per guardare definitivamente alla rendita come a un’alternativa adeguata alla liquidazione una tantum e ciò anche al fine di pervenire a una razionalizzazione dei costi risarcitori soprattutto in quei comparti di responsabilità soggetti all’obbligo di assicurazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I più visti